Per citare questo articolo: Ferrari G., Dommarco P. (2020). L’Unione europea di fronte alla sfida del Covid-19. Intervista a Vito Borrelli e Laura Leonardi. Radio Covid, Ossopensante, Roma.
Ospiti della puntata: Vito Borrelli, Capo della delegazione della Commissione europea in Italia e Laura Leonardi, professoressa di Sociologia presso l’Università degli Studi di Firenze.
Al microfono: Pietro Dommarco, con Giovannipaolo Ferrari.
Pietro Dommarco: “Buonasera e benvenuti al tredicesimo appuntamento in diretta con Radio Covid, i podcast dalla Generazione Covid. Pietro Dommarco al microfono, con me Giovannipaolo Ferrari, il nostro direttore scientifico. Tema della puntata L’Unione Europea di fronte alla sfida del Covid-19. Lo affronteremo con il dottor Vito Borrelli, Capo della Delegazione della Commissione Europea in Italia e la professoressa Laura Leonardi, professoressa di Sociologia presso l’Università degli Studi di Firenze dove dal 2016 dirige anche il Centro di Eccellenza Jean Monnet. È Presidente del corso di laurea magistrale in Sociologia, Ricerca Sociale e Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri. I suoi interessi di ricerca si concentrano in special modo sulle disuguaglianze sociali, la cittadinanza sociale, sull’impatto sociale dell’europeizzazione e della globalizzazione. È una delle massime studiose di Ralf Dahrendorf in Italia. Benvenuti dottor Borrelli e professoressa Leonardi, e ovviamente benvenuto a Giovannipaolo Ferrari.”
Pietro Dommarco: “Io andrei subito dalla professoressa Leonardi. Volevo chiederle: professoressa, da quando nel vecchio continente è scoppiata, per così dire, la pestilenza, ovviamente tra virgolette, l’Unione Europea è sembrata abbastanza latitante. È realtà o percezione? Ma soprattutto, qual è per lei la sfida più grande che dovrà compiere o che sta già compiendo?”
Laura Leonardi: Non so se latitante sia la definizione giusta. Dobbiamo tenere conto di tre aspetti: 1) questa ennesima crisi europea va inquadrata nel contesto globale; 2) dobbiamo avere ben presenti le competenze e gli strumenti che spettano agli Stati nazionali e alla Commissione Europea, perché a volte ci dimentichiamo che i governi nazionali rimangono il perno dell’attuale architettura dell’Unione Europea, a fronte della debolezza della Commissione e del Parlamento; 3) dobbiamo collegare questa crisi alle precedenti e in particolare ai problemi legati alla presenza di forze populiste e sovraniste all’interno degli Stati ma collegate tra loro in network transnazionali.
Primo punto: come tutte le grandi sfide della nostra epoca ̶ ambientali, demografiche, tecnologiche ̶̶ anche le pandemie sono transnazionali per definizione. La reazione immediata, a livello globale, non solo europeo, è stata la rivendicazione di soluzioni di chiusura temporanea dei confini, di restrizione della libertà di circolazione delle persone, con la limitazione dei viaggi e l’interruzione delle catene del valore globale, che potrebbero segnare la fine di un’era di libero scambio. Certo come europei è dura da accettare, siamo privati delle libertà fondamentali collegate alla cittadinanza europea.
Secondo punto: a livello globale, la pandemia ha messo a nudo i limiti di un’architettura di governance ̶ si pensi al caso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ̶ che si limita a monitorare e suggerire, che non ha strumenti normativi cogenti. Altrettanto appare per l’Unione Europea, in cui la Commissione non può intervenire su molte questioni. La politica sanitaria è competenza degli Stati nazionali, non dell’UE, e al loro interno spesso degli enti regionali. Il diritto alla salute è prettamente europeo, basti pensare al caso statunitense dove non c’è. La protezione della salute umana è stata inserita nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Titolo IV Solidarietà Articolo 35 – Protezione della salute), ma alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Quindi, dopo un primo disorientamento, la Commissione Europea è intervenuta nel terreno su cui è legittimata a farlo, quello dell’economia, sui rigidi vincoli finanziari ed economici, allentando le regole sugli aiuti di Stato per consentire di aiutare le aziende che si trovano ad affrontare la crisi ed ha stanziato ingenti finanziamenti per la crisi (ma non mi soffermo, il dott. Borrelli ne parlerà in modo esaustivo). Ha agito anche per invertire i tentativi iniziali degli Stati membri di limitare l’esportazione di attrezzature mediche all’interno dell’Unione, perché anche a questo portano i protezionismi auspicati da chi vorrebbe un ritorno allo Stato nazionale.
Terzo punto: come nelle crisi precedenti, tra le quali ricordo quella dei rifugiati e dei richiedenti asilo, gli Stati nazionali hanno mostrato tutta la loro debolezza nell’affrontare con le loro sole forze una crisi che è globale. Tuttavia, la percezione in Europa nell’immediato è quella del ritorno degli Stati nazionali, che rivendicano la loro sovranità e autonomia dall’UE, anche per effetto della pressione cui sono sottoposti i governi dalle forze populiste, condizionati dal consenso elettorale.
La sfida per l’UE è far diventare questa ennesima crisi non la miccia che innesca una definitiva disgregazione, ma un momento di rifondazione del progetto europeo e della sua architettura istituzionale. Deve intraprendere iniziative che facciano capire ai cittadini, ancora prima che ai governi, l’inadeguatezza dell’ordine attuale, che certo non corrobora le tesi del nazionalismo e dell’unilateralismo, semmai indica la necessità di un maggiore coordinamento e di cooperazione a livello europeo e dell’UE a livello globale.
Pietro Dommarco: “Grazie professoressa Leonardi. Giovannipaolo.”
Giovannipaolo Ferrari: “Dottor Borrelli, qual è il ruolo della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea e quali sono state le azioni che avete messo in campo di fronte al Covid-19? Può dirci, ad esempio, qualcosa di giù in merito al Patto Europeo per il Vaccino. Domani (lunedì 4 maggio, ndr) dovrebbe essere la sottoscrizione di un accordo europeo da 7,5 miliardi.”
Vito Borrelli: “Si, grazie innanzitutto per la domanda perché immagino che molti fra coloro che ci stanno ascoltando non sapranno neppure dell’esistenza di una rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Ed è quindi l’occasione, questa, anche per far capire l’importanza di un’istituzione che rappresenta, in qualche modo, le orecchie, gli occhi e la bocca della Commissione Europea in Italia. In che senso? Gli occhi nel senso che noi qui a Roma, io e il mio team, siamo circa 40 persone a Roma e ce ne sono 15 a Milano, ma poi abbiamo tutta una rete sul territorio di Europe Direct Centre che ci aiutano in qualche modo a rendere più capillare l’informazione, come dicevo. Poi da Roma, in particolare, cerchiamo di mantenere un monitoraggio, un’osservazione attenta di quelli che sono i topic politici italiani e quindi riportiamo l’informazione a Bruxelles cercando anche di chiarire, di dare un tocco personale a quelli che sono i fatti che si conoscono in quanto, appunto, vengono resi noti attraverso i media. Ma siamo anche, come dicevo, in qualche modo la voce dell’Unione Europea in Italia, in questo senso cerchiamo di veicolare ai cittadini e alle imprese e alla società civile quelle che sono le iniziative dell’Europa in Italia e le opportunità che esistono per tutte le fasce di cittadinanza per quanto riguarda i programmi europei. In questo senso, questo è il nostro lavoro quotidiano. L’abbiamo fatto da tanti anni, continuiamo a farlo, ovviamente, da un paio di mesi a questa parte il lavoro è diventato molto più virtuale, stiamo ovunque cercando di realizzare il nostro compito di comunicazione da Bruxelles all’Italia attraverso attività, appunto, di partecipazione ad eventi come questo e come tanti altri che facciamo con le imprese, con le scuole, con le università e così via. In particolare, per l’ultima domanda che mi faceva, domani appunto ci sarà questa conferenza dei donatori internazionali per la ricerca di vaccini, terapie, contro il Coronavirus. È un’iniziativa che è stata fortemente voluta e anzi iniziata dalla Commissione Europea e dal presidente Ursula von der Leyen, che tra l’altro è medico essa stessa quindi in qualche modo è anche personalmente coinvolta in questa vicenda ed ha avuto l’appoggio di molti Paesi membri dell’Unione Europea tra cui l’Italia, ma anche di altri Paesi esterni tra cui la Norvegia, ma anche il Giappone e l’Arabia Saudita che hanno accettato questa sfida di cercare di sollecitare diverse istanze del mondo, diciamo della società civile, per accumulare fondi ai fini, appunto, dell’individuazione, sicuramente del vaccino, ma anche di terapie contro il Coronavirus.”
Pietro Dommarco: “Grazie dottor Borrelli. Noi facciamo una pausa e ritorniamo tra un minuto.
[pausa]
Pietro Dommarco: Benvenuti alla seconda parte di questo tredicesimo appuntamento con Radio Covid. Giovannipaolo Ferrari.”

Giovannipaolo Ferrari: “Si, io ho una domanda per la professoressa Leonardi. Professoressa, lei ha dedicato molta attenzione al cosiddetto Modello Sociale Europeo, quale riflessione suggerisce la crisi sanitaria riguardo a questo aspetto?”
Laura Leonardi: “Che Jacques Delors aveva ragione nel 1993 a suggerire di accompagnare l’integrazione economica e monetaria con la politica sociale perché altrimenti la globalizzazione e l’adozione di una strategia solamente fondata sul mercato come veicolo di integrazione avrebbe prodotto diseguaglianze tra e all’interno degli Stati nazionali e minacciato la coesione sociale. Delors disse che non si può amare una moneta comune e che si deve cercare un’anima per l’Europa. La componente emozionale è molto importante nella costruzione delle identità sociali. Il sentimento di sicurezza è collegato al welfare, e alla capacità, poi disattesa nel dopo Trattato di Maastricht, di far avanzare le chances di vita per tutti i cittadini europei. L’UE non ha saputo contrastare le conseguenze negative della globalizzazione sulla vita delle persone. È stata travolta da quello che Colin Crouch chiama il backlash ‘contraccolpo della globalizzazione’. Affidando al mercato il compito di regolare l’integrazione ha lasciato che crescessero le diseguaglianze tra persone e gruppi sociali, e tra territori all’interno dell’Unione. Molte persone si sentono perdenti non tanto e soltanto sul piano economico quanto minacciate nelle loro identità sociali e culturale, sviluppano un sentimento di incertezza e guardano al passato come fonte di certezze (Zygmunt Bauman parlava di retrotopia). I gruppi sociali che hanno votato per la Brexit che sostengono le forze nazionaliste sono eterogenei ma tutti sviluppano sentimenti xenofobi, antieuropei e temono il cambiamento. Vanno restituite certezze ai cittadini e combattere la questione sociale, in particolare la disoccupazione e l’esclusione sociale, con una politica sociale europea, finanziata direttamente dall’UE, utilizzando anche i fondi già disponibili che spesso, passando attraverso gli Stati nazionali, non vengono percepiti dai cittadini come provenienti dall’UE. Per esempio, prevedendo interventi finanziari, come quello a sostegno della disoccupazione in tutti i Paesi membri, come si è deciso con il programma SURE. Ma da questa crisi finalmente si capisce che L’Europa non può affrontare le sfide interne senza agire fuori dai suoi confini per cooperare con altre istituzioni a livello internazionale e globale. Il Patto per il vaccino prima menzionato, a mio parere, segna un cambiamento importante, rappresenta un piano di cooperazione globale per la ricerca di un vaccino che azzeri il Coronavirus, che coinvolgerà scienziati e autorità di normazione, industria e governi, organizzazioni internazionali, fondazioni e operatori sanitari. Un programma che, pur muovendo da un’iniziativa europea, che vede una leadership della commissione, mette al centro salute e solidarietà, è rivolto al mondo globale”.
Pietro Dommarco: “Grazie, professoressa Leonardi.”
Giovannipaolo Ferrari: “Si, io ho una domanda per il dottor Borrelli. Non c’è alcun dubbio, e lo abbiamo ripetuto più volte nel corso delle nostre puntate, che siamo di fronte a un’emergenza senza precedenti che avrà un’incidenza su molti settori e non solo su quello sanitario. Sulle forniture ai sistemi sanitari, sul sostegno alle imprese, sul patto di stabilità e crescita. l’Unione Europea a che punto è, dottor Borrelli?”
Vito Borrelli: “Mi ricollego magari alla prima domanda che ha prima fatto alla professoressa Leonardi, appunto ha parlato di latitanza dell’Unione Europea. Io parlerei, sicuramente, piuttosto di un iniziale tentennamento, di una titubanza, perché come tutti, è stata anch’essa colta alla sprovvista da questa crisi senza precedenti e senza neanche in qualche modo, avvisaglie. Quindi, ci ha messo forse qualche settimana di troppo per reagire ma, da lì in poi direi che proprio dai primi di marzo, da metà marzo, la Commissione Europea, in particolare, ma anche le altre istituzioni europee, hanno dato un segnale di grande attività e dinamismo per quanto riguarda le misure messe in atto. E vorrei ricordarne tre in particolare: le misure sanitarie, naturalmente, ricordiamo che la Commissione Europea interagisce quotidianamente con i 27 Stati membri a livello di Ministeri della Sanità e degli Interni per coordinare appunto raccomandazioni e linee guida. C’è un’agenzia Europea per il controllo delle malattie basata a Stoccolma che è anch’essa dà delle linee guida ai Paesi membri. Parliamo di linee guida perché ovviamente, le competenze in materia di sanità restano prerogativa degli Stati membri, quindi la Commissione Europea può solo coordinare e aiutare, in qualche modo stimolare determinate azioni, così come sta facendo ora nella fase di Exit Strategy, nella fase di uscita, nella fase due, comunque la vogliamo chiamare, ha dato anche lì delle linee guida per aiutare gli Stati membri a preparare le nuove fasi. Ma poi, ovviamente, il punto forte, come è già stato ricordato anche dalla professoressa Leonardi è stato quello economico. Ricordiamo che dall’inizio, con la BCE che ha stanziato un pacchetto di emergenza di 750 miliardi di euro, una cosa anche questa senza precedenti. La Commissione Europea ha attivato la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita che ha permesso, appunto, a tutti i Paesi membri di indebitarsi, tra virgolette, senza più limiti, quindi non c’è più il parametro del 3% deficit PIL, come fino a qualche mese fa, che era uno dei grandi spettri, dei grandi incubi dell’Italia. Questo limite non c’è più, non c’è più appunto la disciplina degli aiuti di Stato, per cui è stata introdotta una grande flessibilità e poi azioni, programmi, meccanismi completi come appunto la cassa integrazione SURE, per 100 miliardi di euro, c’è stata anche la riutilizzazione dei fondi di coesione, il cosiddetto Coronavirus Response Investment Initiative, che ha permesso appunto, di riutilizzare dei fondi strutturali non utilizzati finora, per un totale di 37 miliardi di euro. Tutto questo si associa ugualmente alle due grandi iniziative, che sono ovviamente quella del MES, che in Italia è stata fortemente dibattuta, un MES senza condizionalità, su questo ci sarebbe da parlare moltissimo, ma non mi dilungo, e ovviamente il Recovery of funds che è la grande incognita, anche dell’ultimo consiglio europeo, nel quale si è dato mandato alla Commissione Europea di valutare le sue modalità, le sue caratteristiche e anche la tempistica e la divisione tra fondi che sarebbero prestiti ed altri invece prestiti diciamo senza scadenza, a fondo perduto. Mi fermo qui perché sono tante cose, ma ovviamente capisco che ci sono limiti di tempo.”
Pietro Dommarco: “Grazie dottor Borrelli. Professoressa Leonardi, lei è d’accordo con quanto detto a proposito di sostegno alle imprese, al Patto di stabilità e crescita? Ci sono anche dei segnali innovativi di intervento sulla questione sociale che si collegano alla crisi?”
Laura Leonardi: “Beh, si, credo che questa crisi più di altre abbia messo di fronte all’evidenza che la società esiste (al contrario di quanto hanno sostenuto per decenni i neoliberali alla Margaret Thatcher). Senza la collaborazione e il lavoro delle persone e della società civile questa crisi, come le altre crisi, non si supera. L’economia e la politica si fondano sulle pratiche sociali, sulle persone, sulle famiglie, sulle associazioni e sulle organizzazioni sociali. Senza coesione sociale mancano le basi per l’economia, per la politica, per uno sviluppo sostenibile. Alcuni segnali ci sono, ma siamo solo all’inizio. Già la Commissione Junker aveva lanciato il Pilastro europeo dei diritti sociali, come ha ricordato il dottor Borrelli, ma sempre adottando strumenti soft, che non costringono gli Stati ad investire in politica sociale. La priorità accordata alla stabilità finanziaria è rimasta per troppo tempo una scusa per gli stati per tagliare la politica sociale, disinvestire nella sanità e nella scuola e oggi ne vediamo le conseguenze. Allentare i vincoli finanziari e di bilancio, purché finalizzati ad investimenti nella politica sociale, come si è fatto per questa crisi, è un segnale della strada da percorrere. Come ho già detto, i programmi volti direttamente a sostenere le persone colpite dalla crisi, come SURE, sono un segnale importante, benché per ora strumento emergenziale e sotto forma di prestito. Ma la Commissione si è impegnata ad accelerare l’elaborazione della proposta legislativa relativa a un regime europeo di assicurazione contro la disoccupazione. Questa sarebbe un’innovazione importante, un cambio di rotta. Me lo auguro”.
Pietro Dommarco: “Grazie. Noi facciamo un’altra pausa e ritorniamo tra un minuto.
[pausa]
Pietro Dommarco: Eccoci nuovamente in diretta su Radio Covid. Io ho un’altra domanda per la professoressa Leonardi. Professoressa, non tutti gli Stati membri stanno affrontando allo stesso modo l’emergenza sanitaria tra Fase 1 e Fase 2. Posizioni divergenti su diversi aspetti, come il sostegno alle economie di Stato, i Coronavirus bond e via disquisendo. Che Europa rischiamo di ritrovarci passata la pandemia?”
Laura Leonardi: “È una banalità se dico che rischiamo di ritrovarci in una grave crisi sociale e non solo economica. La mancanza di solidarietà interstatale però non deve essere confusa con la solidarietà sociale, tra le persone che, abbiamo visto, è diffusa, è spesso transnazionale e translocale.
Le relazioni conflittuali tra Stati sono una componente della storia culturale, sociale e politica europea. Per molto tempo siamo stati ingannati da una narrazione dell’integrazione europea in termini di omogeneizzazione e di crescente convergenza delle istituzioni politiche, economiche e sociali tra i Paesi europei. Divisioni e antagonismi ci sono sempre stati nella storia europea, non soltanto tra Stati, ma anche all’interno degli Stati-nazionali. Il processo d’integrazione europea, in fondo, si è strutturato proprio come risposta alla sfida della diversità ma non per cancellarla, bensì per valorizzarne le componenti, regolando il conflitto interstatale. In questa fase che stiamo vivendo c’è ambivalenza, non è possibile fare previsioni e non è il mio mestiere. Il conflitto ha un potenziale integrativo, può contribuire al cambiamento, purché si realizzino le condizioni per una rappresentanza degli interessi legittimi e per la negoziazione e il dialogo sociale. Può essere distruttivo se avviene il contrario. Credo, però, che i segnali ci siano di una presa di consapevolezza, da parte della Commissione e del Parlamento, forse di alcuni governi, che per superare questa crisi e le prossime che dovremo affrontare è necessario ricorrere a un multilateralismo a livello globale e procedere verso l’integrazione all’interno dell’Unione Europea. Vi è una maggiore consapevolezza dei cittadini, e vedremo come si tradurrà in una domanda politica. Come sottolinea in un recente articolo Jan Zielonka, politologo polacco attento osservatore di queste dinamiche, le forze populiste e nazionaliste stanno perdendo terreno, a fronte di questa crisi le loro posizioni sono indifendibili. Ma soprattutto si richiede di accettare il pluralismo dei valori e delle diversità che possono confliggere e che però ci contraddistinguono come europei. Perché non vengano considerati un ostacolo per l’integrazione bisogna tornare al progetto originario dell’integrazione europea: trovare le sedi e gli strumenti per farle dialogare. Quindi, questo potrebbe essere una nuova spinta verso una nuova architettura anche dell’Unione.”
Giovannipaolo Ferrari: “Grazie professoressa Leonardi. Avendo il dottor Borrelli in studio con noi questa sera non posso fare a meno che porre una domanda anche sulla Brexit. Abbiamo visto come nonostante il Covid-19 i negoziati tra UE e UK per la Brexit non si sono fermati. Anzi, la malattia e le imbarazzanti decisioni politiche, sembrano non abbiano distolto Boris Johnson dal tenere una linea dura nelle trattative. Che scenario prospetta tenendo conto delle conseguenze sociopolitiche ed economiche del Coronavirus, per l’imminente uscita dell’UK dall’Ue?
Vito Borrelli: “Si, beh, Brexit è stata un po’ la saga che ha caratterizzato gli ultimi anni della nostra Europa e infatti sembra quasi strano come sia potuta sparire quasi completamente dal radar delle informazioni dei media nazionali e internazionali un fenomeno che per anni, invece, ha calamitato l’attenzione di tutti i cittadini, anche per i suoi aspetti un po’ grotteschi, devo dire, questo del negoziato Brexit che si è prolungato in maniera davvero inaspettata con rinvii, con nuove scadenze e così via. Diciamo che la data del 31 gennaio è comunque ormai una data passata che ha stabilito l’uscita formale del Regno Unito dall’Unione Europea. Quindi, diciamo, ad oggi il Regno Unito non presenta suoi rappresentanti all’interno di alcuna istituzione europea: né al parlamento europeo, né appunto al consiglio europeo. Ci sono ovviamente funzionari ancora britannici all’interno della Commissione Europea, ma questo fa parte proprio delle regole del gioco. Detto ciò i negoziati continuano, ovviamente sono stati molto rallentati, ci sono state delle flessioni di negoziato che sono state annullate nel mese di marzo, ma ricordiamo che l’ultima sessione è stata quella di metà aprile in cui l’Unione Europea, sempre rappresentata dal capo negoziatore Michel Barnier, che ha portato avanti fin dall’inizio i negoziati, appunto mentre dall’altra parte si sono alternati vari capi negoziatori, adesso c’è David Frost per il Regno Unito. Nell’ultima riunione appunto, si è discusso, tra le altre cose, proprio l’opportunità di prolungare quello che attualmente chiamiamo periodo di transizione che è iniziato il primo febbraio e dovrebbe durare, secondo l’accordo stilato appunto a fine gennaio, fino alla fine del 2020, l’opportunità, eventualmente di prolungare questo periodo di transizione. Su questo, come diceva giustamente Lei, Boris Johnson e appunto il suo capo negoziatore Frost, hanno opposto ancora una chiara resistenza: non c’è la volontà, non c’è l’intenzione, nonostante la situazione eccezionale creata appunto dalla pandemia da Coronavirus, di prolungare questo periodo di transizione per permettere magari di chiarire tanti degli aspetti che vanno chiariti in vista di un nuovo accordo che deve in qualche modo, regolare i rapporti fra l’Unione Europea e il Regno Unito come Stato terzo. Quindi, se questo si riesce a fare entro il 31 dicembre 2020 sarà, io penso, e questa è una mia idea, ma penso che molti la condividano, un vero miracolo. Perché sono così tanti gli aspetti che vanno regolati che sicuramente i pochi mesi che ci restano davanti, 7 mesi, 9 mesi scarsi, sembrano davvero insufficienti per giungere a un’uscita ordinata del Regno Unito dall’Unione Europea. Quindi, il rischio che si prospetta in questo momento, se non ci sarà un ripensamento da parte del Regno Unito, che chieda quindi un prolungamento di questo periodo di transizione durante il quale continuano ad applicarsi tutte quelle che sono le regole di partecipazione all’Unione Europea anche per il Regno Unito, rischiamo di andare a una Brexit senza accordo. Il che sarebbe il peggiore scenario che possa esistere, perché appunto creerebbe un vuoto di regolamento nei rapporti fra Unione Europea e Regno Unito. Io credo che il Brexit ci ha riservato così tante sorprese in passato che non mi stupirebbe che ci sia un ripensamento, una riconsiderazione di questi elementi. Però è anche vero che Boris Johnson è stato fin dall’inizio molto, molto fermo nella sua intenzione di voler uscire al più presto dall’Unione completamente a costo di mettere a rischio, appunto, anche quella che è la funzionalità di un Paese, quello del Regno Unito, e anche ovviamente i suoi rapporti con l’Unione.”

Pietro Dommarco: “Grazie dottor Borrelli. Per chi si è sintonizzato solo ora, ricordo il tema della tredicesima puntata di Radio Covid: L’Unione Europea di fronte alla sfida del Covid-19. Lo stiamo affrontando con Vito Borrelli, Capo della delegazione della Commissione Europea in Italia e con Laura Leonardi, professoressa di Sociologia presso l’Università degli Studi di Firenze. Io ho l’ultima domanda per il dottor Borrelli. Nell’attuale scenario che abbiamo avuto modo di delineare finora, qual è il ruolo giocato dalla Banca Centrale Europea? E dalla Banca Europea di Investimenti? E come stanno le cose realmente sul meccanismo europeo di stabilità, sul MES, che lei citava prima? L’Italia è una sorvegliata speciale? Che cosa dobbiamo aspettarci, dottor Borrelli?”
Vito Borrelli: “Nell’ordine direi che sulla BCE, sulla Banca Centrale Europea, abbiamo già accennato precedentemente a questo bazooka che ha voluto in qualche modo mettere in piedi, mettere in atto nonostante, appunto, anche lì delle titubanze, per non dire gaffe iniziali da parte della nuova presidente Christine Lagarde che aveva fatto un intervento abbastanza, diciamo, inatteso in cui appunto non sembrava voler mettere in atto delle misure eccezionali in questa fase. Però, proprio all’indomani, invece si è visto che la volontà da parte della BCE c’era, di mettere a disposizione questo pacchetto di emergenza di 750 miliardi di euro. Praticamente rendendosi disponibile ad acquistare titoli, obbligazioni dei Paesi membri dell’Eurozona per alleviare in qualche modo l’impatto della pandemia. Quindi, sicuramente la Banca Centrale Europea ha fatto questo primo sforzo e altri sforzi sono in programma da parte della Banca Centrale Europea che dovrebbe aumentare ancora questo pacchetto. Per quanto riguarda la BEI, diciamo che la BEI fa parte di quelle azioni che sono state concordate appunto, e anche concordate nell’ultimo consiglio europeo assieme allo SURE e assieme appunto al CRIplus. La BEI ha messo a disposizione 200 miliardi di euro per gli aiuti diretti alle piccole e medie imprese degli Stati membri per cercare appunto di aiutarle in questo periodo di bisogno per quanto riguarda la crisi pandemica. E infine, come ricordava, appunto avevamo già accennato prima al MES, io penso che la cosa più saggia probabilmente per quanto riguarda almeno il mio giudizio molto personale e – quindi – non parlo in questo caso a nome della Commissione Europea, ma parlo un po’ a nome di Vito Borrelli, è stato il messaggio che il premier Giuseppe Conte ha poi utilizzato sul suo profilo Facebook in un momento di grande crisi a livello nazionale per l’accettazione appunto di uno strumento come il Meccanismo Europeo di Stabilità, che ricordiamo è un’istituzione, tra l’altro, intergovernativa. Quindi l’accettazione di poter permettere ai Paesi che volessero usufruirne, la possibilità di accedervi. Conte nel suo post su Facebook aveva detto: “Noi ovviamente non vogliamo togliere ad altri Stati la possibilità di accedervi, ma come Italia vi accederemo soltanto una volta che le regole di accesso e di utilizzazione di questi fondi, di questi prestiti, siano chiarite”. Quindi, nel momento in cui si ha perfettamente chiaro dal contratto che noi dovremo firmare che non vi sono condizionalità di alcun tipo. La Commissione Europea ha insistito a più riprese dicendo che le condizionalità sono state eliminate. L’unica condizionalità che resta è l’uso di questi prestiti ai fini della mitigazione della crisi del Coronavirus, quindi l’unica condizionalità è questa. Però, ovviamente, possono essere estese misure dirette e indirette riguardanti la lotta al Coronavirus. Ma, evidentemente, l’Italia deciderà su questo tema soltanto nel momento in cui ci sarà una chiarezza assoluta, se appunto ci possa essere ancora nel lungo termine anche lo spettro di una possibile troika che venga poi a controllare, verificare i conti che l’Italia avrà fatto con questi prestiti oppure se questo non esiste affatto. Io direi aspettiamo la prossima puntata, sicuramente scopriremo e abbiamo già scoperto in realtà che l’Italia ha accettato l’utilizzazione del ricorso, della possibilità di ricorrere al MES degli Stati membri, ma non sappiamo se poi l’Italia vorrà avvalersene o meno. Non l’ha mai fatto in passato, l’hanno fatto altri Paesi come la Spagna, la Grecia e il Portogallo, vedremo cosa succederà in futuro.”
Giovannipaolo Ferrari: “Grazie dottor Borrelli. Io, ringraziando la professoressa Leonardi e il dottor Borrelli per essere stati con noi questa sera ed aver impreziosito la nostra puntata con le loro considerazioni; volevo porre due domande finali che sono piuttosto delle curiosità. Volevo sapere dalla professoressa Leonardi se in questo periodo sta conducendo delle ricerche empiriche relative al Covid-19, professoressa?”
Laura Leonardi: “Si, grazie per la domanda. Dunque, ovviamente come sociologi siamo sollecitati a fare delle ricerche. Io, tra l’altro, sono stata molto colpita dal caso Prato dove c’è una comunità di cinesi immigrati molto numerosa, sono circa 23mila persone, che a gennaio, appena rientrati dalla Cina hanno adottato delle misure di isolamento, di distanziamento fisico volontariamente, in un momento in cui a livello nazionale ancora non c’erano disposizioni in questo senso. E hanno cominciato ad allertare anche la comunità pratese, hanno completamente chiuso le loro attività, hanno cominciato anche a comunicare i rischi che le persone stavano correndo, a regalare mascherine ai residenti a Prato. Insomma, hanno adottato delle misure, anche se non erano costretti a farlo da norme e sanzioni. Sappiamo che in Cina, ci sono state misure molto coercitive. Allora siamo andati a studiare come mai questo è avvenuto, che cosa ha comportato e come ha cambiato le relazioni tra i cinesi pratesi e gli autoctoni. Ed è stato interessante. Tra l’altro i giovani cinesi hanno anche un giornale che si chiama New Europe, quindi insomma è anche interessante questa prospettiva Europea che hanno i giovani cinesi pratesi. L’altra ricerca è invece su come gli studenti, soprattutto gli studenti Erasmus che si sono trovati lontano da casa, hanno affrontato la pandemia, in questo caso tenendo conto dell’impatto a livello emozionale, di routine quotidiane e di orientamenti futuri. Si è fatta una rilevazione on line attraverso dei questionari e ora li stiamo elaborando, quindi non ho per il momento risultati, ma insomma quando li avrò se avrete piacere ovviamente potremmo parlarne e discuterne”.
Giovannipaolo Ferrari: “Certo, la inviteremo sicuramente. Quando avrà i primi risultati.”
Laura Leonardi: “Grazie.”
Giovannipaolo Ferrari: “Una curiosità da sociolinguista per il dottor Borrelli. Abbiamo parlato di Brexit e io ho sempre avuto questa curiosità del “dopo Brexit”: ora che l’UK è ufficialmente uscita fuori dall’Europa, quale sarà la lingua che si utilizzerà? Non dico la lingua ufficiale perché c’è il francese, lo sappiamo. Ma quale sarà la lingua che si utilizzerà nei documenti, negli enti governativi, sui siti dell’Unione Europea, delle commissioni, delle agenzie? Sappiamo che l’inglese è la lingua internazionale per eccellenza, ma la lingua è anche un mezzo di dominio, di dominio culturale, di egemonia culturale. Quindi qual è la posizione, a maggior ragione dopo una crisi sanitaria enorme causata dal Coronavirus, dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, quale sarà la posizione dell’UE riguardo all’utilizzo delle lingue, soprattutto per la redazione dei bandi che ha provocato, questo bisogna dirlo, negli anni passati, delle grandi difficoltà per chi in realtà non è un madre lingua inglese, chi non è addentro all’utilizzo dell’inglese per fini professionali.”
Vito Borrelli: “Mah, diciamo che paradossalmente benché l’inglese non sia più tra le lingue ufficiali dei 27 Paesi membri, perché anche l’Irlanda e Malta hanno le loro lingue ufficiali che prevalgono sull’inglese a livello ufficiale. Sappiamo tutti benissimo, come ha detto anche lei, che l’inglese è comunque la lingua più diffusa in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea. Di conseguenza, per facilitare anche un’unica rete di comunicazione efficace tra gli attuali Paesi dell’Unione Europea, è evidente che l’inglese continuerà a permanere come una delle lingue ufficiali dell’Unione Europea e probabilmente continuerà ad essere anche una delle tre lingue di lavoro come è stato finora insieme al francese e al tedesco. Affiancandosi in molte occasioni ad altre lingue di grande, diciamo parlate da molte persone come l’italiano, lo spagnolo e l’olandese. Queste sono le “tre più tre” lingue che molto spesso si usano nelle riunioni delle commissioni, dei comitati e così via. Detto ciò, è vero che la lingua è molto più che uno strumento comunicativo, simbolo proprio di dominio culturale, quindi sicuramente l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea comunque varierà non nell’immediato, ma nel medio-lungo termine anche un po’ gli equilibri culturali, il soft power all’interno dell’Unione Europea. Quindi, non è da escludere che qualche altra lingua, il tedesco per esempio possa con gli anni diventare particolarmente utilizzata anche in altri Paesi che, invece, tradizionalmente lo usavano meno. Questo è da vedere, da seguire. Ma io dubito che in un tempo, diciamo prevedibile, di qui nella nostra generazione possa l’inglese comunque perdere quel potere di attrazione e utilizzazione che ha esercitato finora e che ovviamente non dipende solo dal Regno Unito, ma naturalmente appunto dagli Stati Uniti a livello globale. Poi, naturalmente, ci sono altri giganti che emergono, la Cina. Vedremo se il cinese potrà imporsi da qui a qualche decennio, come un’altra delle lingue internazionali dominanti. Non ne ha le caratteristiche, diciamo più logiche perché è una lingua complessa, però ci sono molte versioni semplificate che potrebbero facilitare le cose. Detto questo io volevo concludere, se mi permettete, soltanto per salutare, anche se non conosco personalmente la professoressa, ringraziarla per i suoi interventi molto interessanti, e anche perché so che ha una cattedra Jean Monnet. E quindi un grande piacere poter sentire le sue parole e spero che avremo modo di conoscerci di persona quando verremo fuori da questa quarantena.”
Laura Leonardi: “Grazie! Grazie anche per me è stato un grande piacere incontrarla virtualmente, è stato molto interessante ascoltarla. Spero davvero che ci vedremo perché noi con il nostro Centro Jean Monnet stiamo comunque lavorando a Firenze, è ormai una istituzione che abbiamo da tempo e quindi ci teniamo molto. E allora sarà bene collaborare.”
Vito Borrelli: “Assolutamente”.
Laura Leonardi: “Possibilmente la inviteremo, insomma, al più presto, quando sarà passata questa situazione.”
Vito Borrelli: “Volentieri, grazie, grazie mille”

Pietro Dommarco: “E, ora, il consueto editoriale di Giovannipaolo Ferrari”
Giovannipaolo Ferrari: “Nei giorni scorsi la Commissione Europea si è affrettata a creare sul suo sito web un’intera sezione dedicata alla “Risposta al Coronavirus”. Da questa pagina si può accedere ad una panoramica della risposta della Commissione al Covid-19, delle azioni di solidarietà messe in campo dalle varie nazioni europee e, infine, ad una “Cronistoria dell’azione dell’Unione Europea” per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
Se si scorre in basso la cronistoria, si arriva alla data del 9 gennaio 2020 come “principio di tutto” per la Commissione Europea. Il 9 gennaio, si legge, la Direzione Generale (Sante) per la Salute e la Sicurezza Alimentare della Commissione Europea “ha aperto una notifica di allerta sul Sistema di allarme rapido e di reazione (SARR), dove la maggior parte degli Stati membri ha, in seguito, condiviso informazioni sulle misure di risposta e di comunicazione”.
La Direzione Generale (Sante) per la Salute e la Sicurezza Alimentare è l’organo della Commissione Europea responsabile della politica dell’Unione Europea per la salute e la sicurezza alimentare e del monitoraggio dell’attuazione delle normative del settore, nonché è l’ente predisposto dalla Commissione Europea per la gestione delle crisi e la prevenzione sanitaria.
Il 17 gennaio 2020, il Comitato per la Sicurezza Sanitaria della Direzione Generale Salute e Sicurezza Alimentare della Commissione Europea ha tenuto la sua prima riunione sul nuovo Coronavirus. Sulla Cronistoria dell’azione dell’UE si può cliccare su un link dove sono presenti i report delle riunioni del Comitato per la Sicurezza Sanitaria dal 17 gennaio al 6 febbraio 2020.
I Meeting del Comitato per la Sicurezza Sanitaria del 17 gennaio 2020
Sfogliando le pagine dei Report dal principio, si può leggere che il 17 gennaio 2020 il Comitato per la Sicurezza Sanitaria si è riunito per la prima volta per discutere di un focolaio di casi di polmonite associati al nuovo Coronavirus a Wuhan in Cina. Si tratta di un meeting telefonico e sono presenti 13 rappresentanti di Paesi membri dell’UE, un rappresentante del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), che è un’Agenzia dell’UE, e il delegato europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il Presidente del Comitato fa il punto della situazione e informa i presenti che la Commissione Municipale per la Salute di Wuhan aveva trasmesso in data 31 dicembre 2019, un’informativa su un focolaio di 27 casi di polmonite, dei quali sette casi gravi. Il 17 gennaio prosegue il Presidente, i casi sono diventati già 59: 44 casi confermati da test attendibili, di cui 41 in Cina e 3 in altre nazioni. Aggiunge, inoltre, che c’erano già i primi due morti tra i contagiati.
Il documento, poi, riporta che al 16 gennaio l’Organizzazione Mondiale della Sanità riteneva che non ci fossero indicazioni chiare per sostenere che il virus poteva essere trasmesso da uomo a uomo.
Nelle Direttive sulla Valutazione delle Minacce del 9 gennaio 2019, pubblicato dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), si sosteneva che il rischio di un’ulteriore diffusione del virus all’interno dell’UE era considerata “da bassa a molto bassa”.
Nello stesso meeting del 17 gennaio, infine, il delegato del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) sosteneva che “rimangono ancora molti dubbi sulle modalità di trasmissione, ma c’è un’indicazione (un’evidenza) di trasmissione da persona a persona”.
II Meeting del Comitato per la Sicurezza Sanitaria del 22 gennaio 2020
Questa volta alla riunione del Comitato per la Sicurezza Sanitaria del 22 gennaio 2020, partecipano ben 56 rappresentanti di nazioni e istituzioni europee e internazionali. Questa volta è anche specificato nel testo che gli Stati membri dell’UE sono rappresentati dai loro rispettivi Ministri della Sanità.
Durante questo incontro, il delegato del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), riporta le principali conclusioni del documento dell’ECDC dello stesso 22 gennaio sulla valutazione del rischio affermando che: 1) il potenziale impatto dell’epidemia di Covid-10 è alto; 2) è probabile una diffusione globale del virus.
In questo incontro, inoltre, si chiede esplicitamente a ogni Paese membro dell’UE di informare la Commissione Europea sulla capacità di gestione clinica di ciascun Paese. Vale a dire le quantità di antivirali possedute da ogni Paese, le carenze di medicinali, quanti ospedali specializzati per questo tipo di emergenza ci fossero sul territorio nazionale di ciascun Paese membro; quanti ospedali, infine, erano provvisti di strutture e aree di isolamento, il numero di respiratori artificiali e i PPE.
Intanto, il 24 gennaio viene segnalato il primo caso europeo in Francia.
III Meeting del Comitato per la Sicurezza Sanitaria del 27 gennaio 2020
Nella riunione del 27 gennaio 2020, il Comitato per la Sicurezza Sanitaria parla chiaramente di “Epidemia di nuovo Coronavirus in Cina e in altri Paesi”.
Questa volta partecipano all’incontro anche l’Agenzia per la Sicurezza Aerea dell’UE e l’Agenzia Europea per i Medicinali. Nel breve report della riunione non si aggiunge niente di nuovo; si rimarca solo che ci sono ancora molte mancanze e si stanno incontrando difficoltà rispetto alla valutazione dell’impatto epidemiologico del Covid-19 causati dalle limitate informazioni a disposizione.
IV Meeting del Comitato per la Sicurezza Sanitaria del 4 febbraio 2020
Nel documento del 4 febbraio si parla di “Epidemia della sindrome respiratoria acuta associata al nuovo Coronavirus” e si ribadisce: “La circoscrizione dell’epidemia e le informazioni epidemiologiche circa il Covid-19 continuano ad essere un’incognita”.
Fa riflettere la lettura dei report di questo Comitato per la Sicurezza Sanitaria, che sono documenti ufficiali dell’UE e che chiunque può scaricare liberamente dal sito della Commissione Europea. Questi documenti confermano, infatti, che l’UE e i Governi dei Paesi membri erano al corrente fin dalla fine di dicembre 2019 del propagarsi di una epidemia a Wuhan e che proprio il Governo cinese aveva trasmesso l’informativa della Municipalità di Wuhan agli uffici competenti della Commissione Europea.
Appare chiaro anche che fin dal principio di gennaio l’UE, attraverso le sue numerose Agenzie e Comitati, avesse contezza della situazione attivando, non a caso, fin dal 9 gennaio 2020 il Sistema di Allarme Rapido e di Reazione (SARR), che non è altro che il protocollo da seguire per le emergenze pandemiche.
Pur lamentando una mancanza di conoscenze del quadro epidemiologico a causa di informazioni limitate, gli organi competenti della Commissione Europea e l’Organizzazione Mondiale della Sanità erano già sicuri all’epoca che il virus poteva essere trasmesso da uomo a uomo e, soprattutto, del fatto che nella riunione del 22 gennaio si metteva in evidenza: che il potenziale impatto del Covid-19 era “alto” e che “era probabile un’ulteriore diffusione globale” della malattia.
Inoltre, nella riunione del 31 gennaio la Commissione Europea proponeva già lo stanziamento di ben 10 milioni di euro per la ricerca di un vaccino contro il Covid-19.
Se la Commissione Europea, infine, era stata informata ufficialmente fin dal 31 dicembre 2019, su ciò che stava succedendo in Cina, possiamo supporre che i singoli servizi di intelligence, in special modo quello francese e quello inglese, fossero in possesso delle stesse informazioni ancor prima di quella data.
Nel momento in cui scriviamo ci sembra importante aggiungere un paio di cose:
Il settimanale satirico Le Canard Enchaîné, che non è nuovo a questo tipo di rivelazioni, mercoledì 27 aprile 2020 ha pubblicato un articolo dove denuncia che l’Ambasciatore francese a Pechino, Laurent Bili, aveva avvertito già nel mese di dicembre 2019, il Ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, ed il Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, che a Wuhan era stato segnalato un pericoloso virus e non ne hanno tenuto conto. Inoltre, non appena le autorità di Wuhan hanno annunciato la nuova polmonite il 31 dicembre 2019, il console generale di Wuhan ha avvisato lo stesso giorno il Ministero e l’Ambasciata francese a Pechino.
Emerge sempre più evidente il ruolo giocato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e le enormi responsabilità dei ritardi nella comunicazione. Report di Rai 3, come al solito, sta facendo in Italia quel ruolo di watchdog, che purtroppo quasi nessuno nel panorama mass-mediatico nazionale svolge. Nella prossima puntata di Report, lunedì 11 maggio alle 21:20, andrà in onda un servizio sulla privatizzazione che ha subito negli ultimi anni l’OMS (Disorganizzazione mondiale), l’Agenzia d’indirizzo e coordinamento in materia di salute all’interno del sistema delle Nazioni Unite. “Report – scrivono nella presentazione dello speciale Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella – indaga sui comportamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per capire se ha emanato linee guida chiare e inequivocabili, che mettessero i singoli stati in condizione di valutare la gravità del problema sulla base di evidenze scientifiche riconosciute. L’inchiesta mette a fuoco il sistema di finanziamento dell’Oms, dalle donazioni volontarie dei singoli stati alla sempre più crescente dipendenza dai privati, primo fra tutti Bill Gates. In un contesto in cui le case farmaceutiche esercitano forti pressioni, che garanzie ci sono che il vaccino o le cure anti-covid siano trattati come beni pubblici a disposizione della popolazione mondiale e non blindati sotto i brevetti per realizzare enormi profitti? Report ricostruirà gli errori commessi sinora e le prospettive di riforma di un’organizzazione di cui il mondo avrà sempre più bisogno, se si dimostrerà efficace e indipendente.”
Pietro Dommarco: “Grazie, grazie. E invece, per i nostri radioascoltatori e per chi ci sta seguendo su Facebook, ricordo il nostro prossimo appuntamento che è giovedì 7 maggio. Parleremo di salute, welfare e Coronavirus, un’analisi dei sistemi sanitari e delle politiche pubbliche di fronte alla pandemia. Consentitemi una battuta finale. Domani, è il 4 maggio, e come sapete in Italia ci sarà una ristrettissima, diciamo, parte del Paese che tornerà al lavoro, le misure di contenimento, restrittive del lockdown saranno leggermente alleggerite. Non esiste una Fase 1, non esiste una Fase 2, non esiste una Fase 3. Il punto in cui noi ci collochiamo in questo momento e ci collocheremo di volta in volta in questo percorso di contenimento, di prevenzione e di lotta al Covid-19 dipende dalla responsabilità di ognuno di noi. E con questo concludo. Buonanotte a chi ci ha seguito. Alla prossima.”