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Smart Learning e Covid-19. Studiare ai tempi del Covid-19

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Al microfono:
Pietro Dommarco, giornalista, direttore del periodico Terre di frontiera, Premio Restart Antimafia 2018, Premio Giornalistico Reporter per la Terra 2016, Premio internazionale all’impegno sociale 2015.
con Giovannipaolo Ferrari, sociologo, esperto di analisi delle politiche pubbliche con particolare attenzione ai temi del lavoro, delle politiche sociali e ambientali.

Ospiti della puntata:
Paolo Diana, Professore di Metodologia e Tecnica della Ricerca Sociale, Open Data per la Ricerca Sociale e Analisi dei Dati Territoriali e Responsabile Scientifico del RisavLab presso il Disps dell’Università degli Studi di Salerno; Maurizio Sibilio, Professore di Didattica Generale e Pedagogia Speciale e Direttore del Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione presso l’Università degli Studi di Salerno. Membro del Direttivo della Società Italiana di Pedagogia). È Responsabile del Laboratorio di Analisi del Movimento e Valutazione delle Attitudini Motorie; Paolo Landri, Primo Ricercatore del Cnr-Irpps e Delegato del direttore per l’Unità separata di Fisciano del Cnr. È responsabile di Inpos, un progetto di ricerca sull’innovazione nelle politiche sociali e nei regimi di welfare. È coinvolto in progetti sulla nuova morfologia della scuola, sugli effetti di trasformazione causati dalle piattaforme e dalle tecnologie digitali.

L’Editoriale di Giovannipaolo Ferrari:
Nel nostro Bel Paese sembra che all’arrivo dell’epidemia sia seguito anche il risveglio del dibattito sull’istruzione pubblica e sulla scuola e l’università italiana assopito nella sua quotidianità e ripetitività. Quasi dieci anni fa, quando vivevo in Australia, abitavo in una famiglia di locali che ospitavano me e altri ragazzi stranieri. Ricordo che fui molto sorpreso dal fatto che in casa non vi fossero libri, nondimeno libri scolastici. Eppure, vi erano tre bambini in età scolare. Chiesi ai genitori, ma la madre parrucchiera e il padre elettricista fecero spallucce e non seppero darmi alcuna risposta. Allora mi rivolsi direttamente ai ragazzi e gli chiesi dove fossero i loro testi scolastici.
Con mia grande sorpresa, presero una chiave USB e me la mostrarono dicendo “Here they are!”.
Tutti i testi scolastici, ma anche una serie di romanzi e testi per l’infanzia, nonché eserciziari e materiale didattico erano “stockati” nella chiave USB. Nulla era stampato o su carta, a parte alcuni quaderni e album personali dei bambini.
Meravigliato che in Australia fossero già così avanti, ne parlai con il mio compagno di stanza che era della Corea del Sud. Lui, anziché, stupirsi mi disse che anche nel suo Paese i testi scolastici erano stati tutti digitalizzati e che gli studenti conservavano le copie cartacee sotto i loro banchi a scuola e a casa studiavano sui tablet, proprio come avveniva nelle scuole Australiane.
Devo dire che fu un po’ uno shock culturale, per me che nel mio viaggio avevo portato otto libri perché non potevo rinunciare alle mie letture.
Eppure, anch’io avevo il computer e mi ritenevo abbastanza alfabetizzato al digitale.
Allora, cos’era che non andava in me? Perché il salto culturale era stato così grande da scioccarmi?
La risposta è racchiusa nella reazione di una mia cara amica italiana, professoressa di storia e filosofia in un Liceo Classico del Meridione. Qualche giorno prima della chiusura delle scuole mi aveva chiamato e avevamo parlato a lungo al telefono di didattica a distanza e di strumenti per l’e-learning finendo per litigare per le nostre posizioni completamente divergenti. La telefonata si concluse con la mia amica che mi accusava di determinismo tecnologico allorché sostenessi semplicemente che tra alcuni giorni tutte le scuole sarebbero state chiuse e sarebbero rimaste chiuse per molti mesi e che sarebbe stato meglio se le avessi fatto un tutorial su come utilizzare Google Classroom. La mia amica, nemmeno a dirlo, mi ha mandato a quel paese pensando che mi stessi prendendo gioco di lei.
Dopo qualche giorno e la chiusura totale di tutti gli istituti di istruzione sul territorio nazionale, la mia amica mi ha richiamato e mi ha chiesto, senza scusarsi, di spiegarle come utilizzare Google Classroom.
Dopo qualche altro giorno, ci siamo sentiti nuovamente e, felice come una Pasqua, mi ha fatto presente che i ragazzi partecipavano ed erano molto più attenti ed interessati che in presenza e che anche lei trovava l’utilizzo di quello strumento funzionale alle sue lezioni perché donava una certa strutturalità e chiarezza pedagogica al suo programma.
Dopo qualche settimana, mi ha richiamato, ma non mi ha parlato più di Google Classroom o delle sue lezioni e mi sono ritrovato costretto ad introdurre il discorso e a chiederle come se la cavasse con i suoi corsi online. Lei mi ha risposto, con aria sufficiente, che per lei non c’era alcun problema e che i suoi studenti continuavano a fare il loro dovere.
Che cos’è accaduto, dunque, in poche settimane?
C’è stata una prima fase di appropriazione dell’artefatto tecnologico (Google Classroom) da parte dell’insegnante e degli studenti; una seconda fase di disvelamento delle possibilità dell’artefatto; una terza fase, infine, di normalizzazione delle pratiche di apprendimento e di insegnamento attraverso l’artefatto.
Adesso, il problema non è che la mia amica abbia, finalmente, preso coscienza che le nuove tecnologie per l’apprendimento a distanza possono aiutare a costruire linguaggi e ambienti di apprendimento integrati e, probabilmente, più funzionali della sola aula scolastica. Il problema è che in trent’anni l’Italia e il suo sistema scolastico è rimasto fermo al palo per quanto riguarda l’innovazione delle pratiche professionali di insegnamento negli strumenti e nei metodi. Il pressappochismo e la sufficienza hanno caratterizzato questi anni dove sono stati letteralmente bruciati milioni e milioni di euro in LIM e materiali didattici più o meno mai utilizzati.
Il problema, quindi, come dicevano i nostri ospiti poc’anzi, sta a monte: nelle politiche pubbliche educative di tutti i governi che si sono succeduti nei passati decenni. Come al solito, la classe dirigente italiana non ha saputo carpire le occasioni che negli anni si sono presentate puntuali, ma che puntualmente si è evitato di cogliere per disparate ragioni politiche, sociali ed economiche che qui non stiamo ad elencare.
Oggi, con il virus che batte alle nostre porte e con l’impossibilità di ritornare a settembre sui banchi di scuola, è il tempo delle decisioni coraggiose da parte di chi ci governa.
Il Presidente del Consiglio in una delle sue numerose conferenze stampa in streaming ha detto: “Fosse per me inserirei una modifica alla Costituzione con il diritto all’accesso alle reti info-telematiche. Il concetto della libertà sostanziale è nell’Articolo 3 della Costituzione, prevede che la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Oggi, lo strumento di partecipazione più concreto ed efficace è l’accesso a Internet. Dobbiamo fare degli sforzi, abbiamo stanziato anche dei fondi per offrire reti info-telematiche a tutti gli studenti”.
Quello che paventa Conte sarebbe un primo passo per eliminare quello che definiamo digital divide, che ostruisce la strada tra la scuola di oggi e la scuola che verrà.
Ma servono politiche educative innovative e coraggiose che annullino i privilegi delle aziende di telecomunicazioni, degli editori scolastici e delle aziende di software e materiali informatici.
Serve costruire un proprio modello di Smart Learning che vuol dire anche costruire ex novo nuovi settori industriali, abbattere i pregiudizi nei confronti dell’uso delle nuove tecnologie per l’apprendimento, evitare la deriva determinista da una parte o dall’altra. Serve che i nostri centri di ricerca e le nostre università siano valorizzati e messi al centro del nuovo progetto educativo nazionale ed europeo. Serve, soprattutto, che le buone intenzioni non rimangano sulla carta come al solito. Servono, quindi, serietà, competenza e professionalità oltre che la tanto invocata onestà!