Per citare questo articolo: Ferrari G., Dommarco P. (2020). La ricerca sociale e il Covid-19. Intervista a Maria Carmela Agodi, a Linda Laura Sabbadini e a Flaminio Squazzoni. Radio Covid, Ossopensante, Roma.
Ospiti della puntata: Maria Carmela Agodi, Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia (Università degli Studi di Napoli “Federico II”); Linda Laura Sabbadini, Direzione Centrale per gli Studi e la Valorizzazione tematica nell’Area delle Statistiche Sociali e Demografiche; Flaminio Squazzoni, Professore di Sociologia (Università degli Studi di Milano “Statale”).
Al microfono: Pietro Dommarco, con Giovannipaolo Ferrari.
Pietro Dommarco: “Buonasera e benvenuti alla puntata numero 17 di Radio Covid, i podcast dalla Generazione Covid. Noi non siamo scaramantici. Come ogni giovedì e ogni domenica, Pietro Dommarco al microfono. Con me Giovannipaolo Ferrari, il nostro direttore scientifico. Come dicevo nell’anteprima su Facebook, è il nostro ultimo talk in questa prima parte di stagione di Radio Covid, ma continueremo senza dissolverci. Stasera parliamo di ricerca sociale e Covid-19 e non potevamo fare altrimenti, considerando il percorso intrapreso e il lavoro di formazione e di analisi dei mutamenti sociali in atto dovuti alla pandemia, portate avanti, ovviamente fino ad oggi. Su questo tema, ricordo, ricerca sociale e Covid-19, ci confronteremo con Maria Carmela Agodi, presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia e professoressa di Metodologia e tecnica della ricerca sociale presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Con Linda Laura Sabbadini, direttrice generale dell’Istat, dirige la Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche e in ultimo, non per importanza, Flaminio Squazzoni, professore di Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano Statale dove dirige il Behave Lab. Prima di entrare nel vivo del nostro talk, ricordo ai nostri radioascoltatori, e a chi ci sta seguendo invece su Facebook che è possibile inviare le vostre domande ai nostri ospiti tramite sms o messaggi audio su WhatsApp al 3914584943. Ed ora partiamo ma tra un minuto.
[pausa]
E ci siamo, siamo su Radio Covid, io do il benvenuto ai nostri ospiti. Grazie alla professoressa Maria Carmela Agodi, alla dottoressa Linda Laura Sabbadini e al professor Flaminio Squazzoni, per aver accettato il nostro invito e grazie Giovannipaolo Ferrari, che come sempre è con noi. Buonasera a tutti.”
Maria Carmela Agodi: “Buonasera”
Linda Laura Sabbadini: “Buonasera”
Pietro Dommarco: “Professor Squazzoni, lei c’è?”
Flaminio Squazzoni: “Ci sono, ci sono, grazie a voi”
Pietro Dommarco: “Perfetto, perfetto. Allora io vado subito dalla professoressa Agodi. Professoressa, lei è una metodologa della ricerca sociale, come deve agire il ricercatore in scienze sociali in queste circostanze e quale può essere il contributo della ricerca sociale, tema ovviamente di questa serata, nella comprensione del fenomeno Covid-19?”
Maria Carmela Agodi: “A parere mio, l’emergenza scatenata dal nuovo Coronavirus, dal punto di vista sociologico rappresenta un vero e proprio fenomeno sociale e globale, ma non è l’unico, perché crisi finanziarie, movimenti migratori, sono tutti oramai fenomeni globali e di cui la ricerca ha fatto proprio oggetto di studio. E, considerandole non banalmente come imprevisti, come tragedie inattese, ma come oggettivamente possibili sulla base di tutta una serie di condizioni che sono il risultato di mutamenti sociali e dello sviluppo precedente. E, dal punto di vista della ricerca sociale, tutte queste crisi e quella sul Covid, in particolare, hanno un impatto su tutte le nostre pratiche, cioè hanno origine in un ambito, in questo caso quello sanitario, quello della salute, ma modificano, mostrano l’inadeguatezza ad affrontarle della maggior parte dei nostri sistemi sociali. Il Covid ha messo in questione la gestione delle nostre relazioni interpersonali, l’organizzazione del lavoro, i sistemi di socializzazione, pensiamo alla scuola, alla famiglia, i sistemi di decisione politica, il modo in cui queste si rapportano. Ebbene, la ricerca sociale ha, nel modo in cui costruisce le proprie domande, uno strumento fondamentale e di ridefinizione della situazione, di situazione di scelta di fronte alla quale questi eventi ci pongono e che è una scelta che non è avvenuta, non è arrivata all’improvviso, non ci si pone dinanzi all’improvviso, ma che è il risultato di qualcosa dentro la quale gli attori stavano già e che non vedevano. La ricerca sociale consente loro, attraverso le domande che pone, domande che modificano la definizione sociale delle situazioni, consente di prospettare in maniera nuova i problemi di fronte a cui ci troviamo. Così ci mostra che il Covid non mette in questione soltanto l’organizzazione, le conoscenze sanitarie, ma mette in questione l’organizzazione dei nostri sistemi sanitari, le diverse modalità di organizzarli, mette in questione i nostri welfare, mette in questione il nostro modo di organizzare il lavoro, il nostro modo di organizzare la scuola e le mette in questione non perché arriva all’improvviso, ma perché già non c’eravamo accorti, come il bruco dentro il bozzolo non si accorge di quello che sta avvenendo, della trasformazione, della metamorfosi, che i nostri sistemi sociali stavano attraversando.”
Pietro Dommarco: “Grazie professoressa Agodi. Io vado invece dalla dottoressa Sabbadini. Dottoressa, nel dibattito sociale e politico si parla di società pre-Covid e post-Covid, di crisi pre e post dell’attuale pandemia, situazione di gestione dell’emergenza. Ma, volendo dirla tutta, non è che diciamo l’Italia si è presentata di fronte all’inizio della pandemia in una posizione socioeconomica idilliaca. La pandemia, piuttosto, rischia di mettere in crisi altri settori. Cosa pensa a riguardo e qual è la fotografia che può condividere con noi l’Istat?”
Linda Laura Sabbadini: “È stato che a cavallo tra il 2008 e il 2009, si è sviluppata una crisi particolarmente forte, come sappiamo, che ha portato a un impatto sulla situazione sociale del Paese non indifferente. Già dal 2012 avevamo avuto un balzo della povertà assoluta nel nostro Paese, addirittura un raddoppio, e questo ha fatto sì che ci trovassimo in un aumento delle disuguaglianze del Paese che è stato trasversale, che ha riguardato: le disuguaglianze territoriali, le disuguaglianze generazionali, le disuguaglianze di genere e le disuguaglianze sociali in termini di povertà. Questo significa che noi siamo arrivati al momento dell’epidemia con una situazione che era già peggiorata rispetto ai dieci anni precedenti. La povertà assoluta era raddoppiata, raddoppiata. Adesso c’è stato un leggero decremento, sulla base anche delle misure che sono state prese per il 2019, ma comunque eravamo partiti da un 3,9% e siamo a un 7,8%. Quindi abbiamo bisogno ancora di fare molta strada per ritornare ai livelli pre-crisi. Da un punto di vista del mercato del lavoro solo da poco siamo arrivati a un segno ‘+’ in termine di numero di occupati. La componente maschile non ha ancora recuperato. La componente femminile, pur avendo recuperato più di quella maschile, ha vissuto un peggioramento complessivo della qualità del lavoro sia in termini di conciliazione dei tempi di vita, sia in termini di crescita di part time involontario, sia in termini di aumento della precarietà. Da un punto di vista delle disuguaglianze generazionali, il problema che abbiamo avuto è che tutto il recupero di occupazione che è avvenuto è stato un recupero che si è avuto sul fronte degli ultracinquantenni. Il tasso di occupazione e dei venticinque/trentaquattrenni, per fare un esempio, è ancora al di sotto di quello del 2008 di otto punti percentuali. E ancora, da un punto di vista delle disuguaglianze territoriali, quello che è successo è che il Mezzogiorno, che sappiamo essere la zona del Paese che vive la situazione peggiore, durante i dieci anni ha vissuto un ulteriore peggioramento e soprattutto un aumento della forbice, nel senso che a partire dal 2014, quando siamo usciti dalla recessione, quello che è successo è che c’è stata un’accelerazione del miglioramento delle zone più ricche del Paese e una grossa difficoltà di recupero, invece, nella zona del Mezzogiorno, che ancora non ha recuperato l’occupazione che era stata persa.”
Pietro Dommarco: “Grazie, grazie dottoressa Sabbadini. Professor Squazzoni, da domani le maglie della cosiddetta Fase 2 si allargano ulteriormente rispetto alle misure adottate lo scorso 4 maggio. Qualche settimana fa in un’intervista, se non sbaglio rilasciata a Il Giornale, lei ha sottolineato l’importanza di curare l’economia e la società passata l’emergenza sanitaria. Non mi soffermo su quest’ultimo aspetto perché, specie in Lombardia l’emergenza non sembra del tutto superata, anzi. Le chiedo se è soddisfatto di come la politica ha lavorato e sta lavorando alla ripresa.”
Flaminio Squazzoni: “Beh, allora, domanda abbastanza difficile, non sono un analista politico così fine, però, l’intervista che lei ha citato fu rilasciata a Il Giornale in un periodo in cui il dibattito pubblico era dominato da epidemiologi, da virologi e dal problema della salute pubblica. E quindi lì, settimane fa notai che fosse urgente iniziare ad alzare uno sguardo. Ora, lo sguardo finalmente è stato alzato e ormai in sostanza si vive il rilassamento del lockdown. Ora, devo dire che, come anche è stato segnalato in precedenza, dalle mie colleghe, che saluto, questo Paese non arriva alla crisi del Covid-19 come un atleta in grande forma. Insomma, arriva come un Paese acciaccato da problemi strutturali, come diceva appunto la collega dell’Istat, e anche da una crisi di scarsa legittimazione della politica che non possiamo nasconderci. Quindi, in questo contesto, è troppo facile infierire sul decisore politico. Certo ciò che bisogna fare, come si diceva, è curare l’economia, la società e le persone. Qualcosa si è un po’ già visto, anche se devo dire che questo Paese riesce sempre comunque a complicarsi la vita con la burocrazia, con ritmi e liturgie decisionali assolutamente fuori dal tempo e scarse capacità gestionali, con grandissimo impatto soprattutto sulle piccole e medie imprese. Devo dire che questo sguardo che stiamo un po’ alzando dal profilo della salute pubblica a quello della cura dell’economia e della società ci accompagnerà, io credo, almeno ragionevolmente per tutta questa estate, prima di quello che sostanzialmente si prevede essere un ritorno a problemi di salute pubblica a settembre ed ottobre. Quindi, secondo me, abbiamo qualche mese per iniziare un po’ a lenire le ferite di un tessuto sociale che è stato lacerato pesantemente da questo evento. E quindi mi aspetto una capacità, anche creativa, di immaginare vie per ricostruire o sostanzialmente sostenere il tessuto sociale delle famiglie e delle società no profit e dei servizi di comunità che sono stati devastati da questi mesi, su cui appunto mi aspetto una certa sensibilità da parte del decisore pubblico.”
Pietro Dommarco: “Grazie, grazie professor Squazzoni. Noi facciamo una pausa, ritorniamo tra un minuto.
[pausa]
Noi invece siamo rientrati su Radio Covid in diretta. www.radio-covid.it per la seconda parte del nostro appuntamento numero 17. Giovannipaolo Ferrari.”
Giovannipaolo Ferrari: “Si, grazie Pietro. Professoressa Agodi, in questi mesi abbiamo visto l’AIS, l’Associazione Italiana di Sociologia di cui lei è presiedente, molto attiva sul sito istituzionale e sui social nel promuovere il dibattito sul Covid-19 attraverso la pubblicazione di contenuti e di eventi che coinvolgessero i sociologi italiani. Anche gli eventi di Radio Covid sono stati ripresi dall’AIS, cosa di cui siamo molto contenti e fieri. Quale ruolo deve avere l’AIS nel dibattito pubblico sul Covid-19, professoressa?”
Maria Carmela Agodi: “Beh, intanto la ringrazio per aver notato il cambio di passo che AIS ha fatto uscendo fortemente fuori anche dalla comunità accademica nella sua comunicazione in questo periodo ed andando sui social, aprendo il forum AIS a tutte le possibili modalità di intervento dei sociologi per dare diffusione, in qualche modo, a tutte le iniziative, le indagini, le ricerche che venivano attivate su questa emergenza in corso. L’idea è stata da subito quella di fare di questa emergenza un’occasione, un’occasione che motivasse tutti i sociologi a comunicare ancora di più nella sfera pubblica per dare rilevanza al contributo sociologico, all’intelligenza collettiva dei fenomeni sociali. E, in particolare, questo fenomeno che appariva così pervasivo. Perché questo è così importante? Perché in questa esperienza, come capita in altri rischi globali che hanno una particolare caratteristica di invisibilità se non attraverso una mediazione che ne viene fatta nella sfera pubblica attraverso le rappresentazioni mediatiche, le narrazioni, gli interventi di esperti che a volte appaiono contraddicendo certe idee, sbagliate per altro, della scienza come capace di parlare con un’unica voce, soprattutto quando la scienza è in costruzione. Beh, la voce dei sociologi contribuisce in modo particolare alla definizione della situazione, contribuendo a rendere questa definizione della situazione consapevolmente per tutti, una definizione che è costruita attraverso le domande che ci poniamo e che richiede prima una chiara identificazione di queste domande che diventano anche domande definite in termini di giustizia sociale, di distribuzione sociale del rischio, di distribuzione sociale dei costi degli interventi che vengono fatti per fare fronte al rischio. Abbiamo visto, in questa situazione, emergere con forza, in particolare all’inizio, delle morti del Covid-19 degli anziani. Questo tipo di domande che venivano fatte nascevano dalla definizione del rischio in termini di decessi. In termini di decessi che a quanto si è visto, abbastanza presto per questo nuovo virus, colpivano in particolare le fasce più anziane. Ebbene, la domanda che emerse e che i sociologi, in questo caso per esempio su questo aspetto specifico, già temevano da tempo era una domanda che definiva il frame, il quadro di riferimento dentro cui, per esempio i programmi di ricerca europei ponevano il problema dei costi della sanità. Il problema era: l’invecchiamento della popolazione fa aumentare terribilmente i costi della sanità. Questi costi diventano insopportabili per la società. La domanda dei sociologi era: abbiamo chiesto alla medicina di prolungare la nostra vita, ebbene, adesso dobbiamo chiederci, questo prolungamento della vita aiuta a rendere più significativa quella vita che ci è stata allungata oppure si traduce semplicemente in un’ulteriore rimozione della morte dagli orizzonti esistenziali? E, in una sorta di senso di onnipotenza assolutamente giustificato che porta i nostri anziani a morire magari con ottimi livelli di colesterolo o glicemia, a morire di malattie come il cancro, nelle Residenze Sanitarie Assistite (RSA) dove comunque morivano i nostri anziani in una situazione comunque di segregazione sociale. Le domande vengono in questa fase riproposte con maggiore forza. È un tema di costi, semplicemente di abbassare i costi della sanità per gli anziani, o il tema è come utilizzare criteri diversi dal PIL per valutare l’incidenza economica della spesa sanitaria sul benessere sociale e collettivo? Anche coloro che vivono più a lungo, perché abbiamo chiesto alla medicina, alla scienza, di farli vivere più a lungo?”

Pietro Dommarco: “Grazie, grazie professoressa Agodi. Io vado dalla dottoressa Sabbadini. Dottoressa ricordiamo a chi ci sta ascoltando e seguendo che lei è la Responsabile scientifica dell’Indagine sulla sieroprevalenza coordinata dal Ministero della Salute e dall’Istat. Un’indagine che prevede il coinvolgimento di 150 mila persone su tutto il territorio nazionale. Qui le domande sono diverse e magari ci scusi se qualcuna le può sembrare un po’ banale ma dobbiamo cercare di informare chi non ‘bazzica’ su questi argomenti. Innanzitutto, a che punto siamo con l’indagine? Come può un campione di 150 mila individui essere rappresentativo dell’intero Paese? E poi un’altra domanda è: come la mettiamo se, come sembra, alcune regioni autonomamente faranno dei test sierologici anche su campioni superiori? Avremo un problema di confronto di validazione dei dati? Una fotografia della realtà in conflitto, alterata, distorta? Cosa ci può dire, dottoressa?”
Linda Laura Sabbadini: “Allora, intanto io sono Responsabile scientifica per Istat, ovviamente”
Pietro Dommarco: “Si.”
Linda Laura Sabbadini: “Poi sarà il Comitato tecnico scientifico, che è stato istituito, con cui collaboriamo, oltre al Ministero della Salute. Teniamo conto che questa è un’indagine che serve proprio per calcolare quante persone hanno contratto il virus, diciamo da febbraio ad oggi. E si effettuerà con un prelievo di sangue venoso, nel particolare su questo campione di 150 mila persone. La cosa fondamentale è che noi dovremo cercare di capire quante sono le persone che hanno sviluppato questi anticorpi perché sul virus si sa ancora molto poco. Soprattutto, non si sa neanche se poi gli anticorpi che poi si sviluppano in seguito alla presenza del virus nel nostro organismo poi effettivamente permangono. Quindi sarà importante anche ritornare, fare uno studio longitudinale che ci permetta di capire, a distanza di tempo se questi, se le persone che hanno sviluppato questi anticorpi poi li mantengono nel tempo. La rilevanza di questo studio è che ci permetterà di capire veramente quanto è diffuso il contagio, perché si è visto che l’aspetto degli asintomatici, quindi delle persone che hanno incontrato il virus ma non hanno avuto nessun sintomo, oppure che ne hanno avuti di leggerissimi, pensando di avere avuto una semplice tosse, oppure delle lineette di febbre, è un aspetto molto rilevante. Ancora non si sa quanto realmente sia esteso, e da un punto di vista dello sviluppo del contagio saperlo è un elemento molto prezioso. Qual è il vantaggio di questa indagine nazionale, rispetto diciamo a quelle locali? Che ovviamente, essendo stato utilizzato uno stesso test per tutte le regioni, questo permette di fare effettivamente dei confronti, non solo all’interno delle regioni, perché il campione è un campione stratificato per regione, ma poi all’interno per sesso, sei classi di età e alcune classi di attività economica degli occupati. Quindi, non solo di fare questi confronti all’interno, ma anche tra le regioni. Questo non va in contrapposizione con altri test che si stanno facendo. Magari questi sono di natura diversa, noi sappiamo che a seconda dei test ci possono essere maggiori o minori livelli di affidabilità, fattori di qualità. E questo ha dei requisiti migliori e più affidabile rispetto a quelli capillari. Però, comunque, le caratteristiche poi dell’indagine che sono state condotte nelle varie regioni sono di natura anche diversa. Per esempio, nel Lazio si è puntato a fare a tappeto tutto il personale sanitario, tutto il personale delle forze dell’ordine e così via. Mentre invece noi non privilegiamo diciamo una parte o un’altra. Puntiamo ad avere una stima della prevalenza delle persone che sono entrate in contatto col virus e che, quindi, hanno sviluppato l’anticorpo e capire se questo è avvenuto in presenza di sintomi oppure non è avvenuto in presenza di sintomi, se si associa a determinate malattie croniche oppure non si associa. Quindi, io non sono particolarmente preoccupata di queste possibili sovrapposizioni. Il campione, ovviamente, è un campione statistico e anche di una numerosità elevata che, essendo un campione statistico ci permette di garantire questa rappresentatività sul territorio. Ovviamente, tanto più sarà alto il tasso di partecipazione, da parte dei cittadini e di adesione a quelli del campione a questa rilevazione, tanto più il risultato sarà valido e sarà di qualità.”
Pietro Dommarco: “Grazie dottoressa Sabbadini. Le chiedevo anche sul discorso invece delle regioni. Nel senso, ci sono alcune regioni, se non sbaglio proprio la regione Lazio che dovrebbe avviare, vorrebbe avviare un’indagine su un campione di 300 mila persone se non sbaglio. Le chiedevo se, nel caso in cui più di una regione dovesse rendersi, tra virgolette, autonoma da questo punto di vista, e quindi avere delle indagini che restituiranno dei dati diversi rispetto a quelli che raccoglierete ed analizzerete voi, saranno dati alternativi? Avremo una fotografia?”
Linda Laura Sabbadini: “Ma no! Io non credo si porrà questo problema perché, per esempio, nel caso della regione Lazio una cosa è questa che viene fatta a tappeto su alcune categorie, altra cosa è fare un campione rappresentativo di tutta la popolazione. Quindi, in sostanza, queste cose le verificheremo concretamente a seconda di come sono state condotte e del tipo di test che verrà utilizzato. Nel caso regionale è no. Però, per esempio, la regione Lazio non a caso ha aderito a questa indagine nazionale. Non è che fa l’altra e a questa non partecipa. Partecipa assolutamente anche a questa. Perché questa dà la possibilità di confrontarsi con le altre e in più di estendersi a tutta la popolazione del Lazio.”
Pietro Dommarco: “Grazie. Quando avremo i primi risultati?”
Linda Laura Sabbadini: “Guardi, adesso siamo proprio nella fase iniziale della ricerca. È uscita una norma da pochissimi giorni. Siamo nella fase in cui è stato estratto il campione, è stato trasmesso al Ministero della Salute, questo campione adesso è stato trasmesso ai provider telefonici perché in sostanza si aggancerà con numeri di telefono e la Croce Rossa comincerà a contattare tutti i cittadini. Quindi proprio nei prossimi giorni. Siamo proprio nel…, come dire, al clou dell’inizio del vero lavoro sul campo. Adesso questo stesso campione si sta trasferendo anche alle regioni in modo che i medici di famiglia si possano attivare sui loro pazienti, quelli che sono stati estratti nel campione per avvertirli della telefonata della Croce Rossa, e quindi informare, perché è fondamentale che i cittadini poi siano informati di che cosa si tratta. La Croce Rossa, quindi, avvierà le telefonate a brevissimo, questione di pochissimi giorni e giorno dopo giorno ci saranno dei punti di prelievo all’interno delle regioni e in più, una parte di cittadini avrà i prelievi presso la propria abitazione soprattutto in cui le persone siano o disabili o anziani in difficoltà oppure presentino alcuni sintomi particolarmente critici. Si chiede anche alle persone se nelle ultime due settimane hanno riconosciuto alcuni sintomi particolari e in quel caso si prevede il prelievo presso l’abitazione. Quindi, siamo proprio in questa fase di avvio di tutto questo meccanismo che è assai complesso però nello stesso tempo è anche affascinante, nel senso che è una bella sfida e soprattutto una cosa molto utile al Paese. Si sta avviando, è in corso anche in Spagna e in Germania, si sta facendo un po’ nei Paesi più avanzati, si sta facendo uno sforzo per dotarsi di questi strumenti soprattutto nazionali. Perché poi quello che è importante capire è la differenziazione che poi sul territorio, come sappiamo anche dai dati di mortalità è stata molto accentuata.”
Pietro Dommarco: “Grazie dottoressa. Professor Squazzoni, l’attuale crisi innescata dalla pandemia, come abbiamo avuto modo di raccontare più volte anche noi di Radio Covid, non è da considerarsi esclusivamente una crisi sanitaria. È anche una crisi dell’intero sistema sociale, dalle relazioni interpersonali all’organizzazione del lavoro, dalle decisioni politiche assunte con il carattere dell’emergenza fino al controllo diciamo sociale. Da questo punto di vista come siamo cambiati come istituzioni, come cittadini, come Paese Italia?”
Flaminio Squazzoni: “Allora, è dura rispondere a questa domanda. Diciamo che mentre sentivo la dottoressa dell’Istat, pensavo al fatto che siamo entrati in una sorta di acceleratore. Questa crisi ha accelerato prassi, pratiche, logiche e modalità preesistenti e ciò vale anche per la ricerca, tutti aspetti che precedentemente viaggiavano con un ritmo ed una velocità relativa rispetto ad ora. Quindi, mi pare importante sottolineare che dobbiamo capire quanto il mondo della ricerca possa riuscire a contribuire a informare i decisori, i policy maker in modo da aiutarli a prendere decisioni più responsabili e orientate maggiormente al medio e lungo periodo. Dobbiamo chiederci anche quanto questa crisi stia mettendo sotto stress il mondo della ricerca e il modus operandi che abbiamo seguito finora. Quindi, come diceva lei, questa crisi richiama diversi fattori: sia una crisi a più dimensioni, non solo appunto, una crisi di salute pubblica, che necessita di una risposta a diversi livelli. Ecco, qui sono incrociate anche un po’ di debolezze congenite. Ribadisco, ritorno a pensare che il decisore pubblico e le istituzioni siano arrivate a questa crisi già col fiato corto, già frammentate, mal organizzate. Quello che mi preme sottolineare è capire se questa crisi possa insegnarci qualcosa. Dato che ognuno poi parla per la propria esperienza, per il proprio punto di vista, personalmente spero che questa crisi ci insegni qualcosa sul come infrastrutturare questo Paese. Dare infrastrutture solide a questo Paese per fare ricerca che sia sempre più repentina, più intelligente, più capillare, più basata sui dati e che sia, soprattutto, più interdisciplinare in modo che la prossima volta, visto che ci attende un secolo di crisi sistemiche. La prossima insomma potrebbe essere una crisi ambientale o una crisi tecnologica. Sistemi così iperconnessi come quelli che abbiamo oggi, sono sistemi estremamente vulnerabili a eventi estremi che si propagano vista l’interdipendenza globale tra tecnologia, società, economia, salute e anche biologia. È chiaro che dobbiamo uscire da questa crisi attrezzandoci in maniera infrastrutturale per rispondere in maniera più responsabile, più capace alle crisi che dovremmo appunto affrontare nei prossimi decenni.”
Pietro Dommarco: “Grazie professor Squazzoni. Giovannipaolo? Mi senti?”
Giovannipaolo Ferrari: “Si, si, Pietro sono qui. Mi è arrivato un messaggio da un radioascoltatore che voleva chiedere al professor Squazzoni se nel Behave Lab, il laboratorio di ricerca che lui dirige, sono in atto o sono in programma ricerche scientifiche specifiche sul Covid-19 e su queste questioni che stiamo trattando questa sera. Professore?”
Flaminio Squazzoni: “Si, domanda interessante. Ci sono due contributi che il Behave Lab sta cercando di fornire. Abbiamo lanciato un esperimento online su un campione di cittadini lombardi, sull’impatto delle norme di lockdown e controllo sociale. Questo è il primo punto. Quindi, sul lato dell’analisi comportamentale dell’impatto delle norme sociali, di controllo sociale su percezioni e decisioni dei cittadini. Ad esempio, pensiamo a quanto il Covid-19 possa aver contribuito alla propensione da parte dei cittadini ad accettare norme sociali di controllo che sostanzialmente in un momento pre-Covid non avrebbero accettato. E poi ci spostiamo al tema della trasformazione politica di questo Paese. Le emergenze, come quella del Covid-19, danno alla politica un ruolo molto forte, talmente forte che può mettere a repentaglio persino gli aspetti istituzionali di una democrazia liberale come la nostra. Qui, il tema sarà capire quando noi usciremo da questa crisi riportando la politica al ruolo che le compete. D’altro canto, invece, abbiamo l’altro filone di ricerca, che è quella dei modelli di simulazione. Nel mio gruppo di ricerca da quasi venti anni ormai, facciamo modelli di simulazione dei sistemi complessi, modelli che, appunto, in vari Paesi sono utilizzati anche per simulare, prevedere, supportare il decisore sulle misure di lockdown. Ecco, noi stiamo cercando di contribuire a fornire a modelli epidemiologici di salute pubblica dei fondamenti sociologici più realistici. Diciamo che c’è una certa apprensione legata al fatto che buona parte dei modelli di simulazione usati per stimare le misure di riduzione del contagio, pensiamo al modello dell’Imperial College di Londra che ha avuto un impatto significativo in Inghilterra, negli Stati Uniti, ma anche in Francia; siano basati su una lettura, un’interpretazione delle dinamiche sociali abbastanza irrealistiche o naïve come si dice. Quindi, nei prossimi mesi cercheremo di contribuire a fornire dei modelli sociologicamente fondati sul contagio, sulle reti sociali, per poter aiutare, appunto, soprattutto nella fase post-lockdown, a identificare interventi più mirati.”
Giovannipaolo Ferrari: “Grazie professor Squazzoni. Professoressa Agodi, in questi mesi ci siamo scontrati con una sorta di interpretazione ingenua dei modelli epidemiologici e in generale con una mancanza di profondità di analisi applicata alla lettura dei dati e alla loro interpretazione. La sociologia, scriveva Michael Burawoy nel suo famoso discorso presidenziale per l’American Sociological Association nel 2004 dal titolo Per una Sociologia pubblica, nacque con l’aspirazione di essere quell’angelo della storia impegnato nella ricerca di un ordine tra le rovine della modernità e capace di salvare le speranze del progresso. Secondo lei la sociologia dovrebbe avere questo fine, professoressa?”
Maria Carmela Agodi: “Beh, la sua domanda in realtà è duplice perché nella prima parte, mi permetta per questo di riferirmi anche a quanto accennava poco prima il collega Squazzoni, i modelli epidemiologici hanno avuto poca possibilità di nutrirsi di dati relativi alle reti sociali, ai processi e ai meccanismi sociali che mediano il contagio, e quindi hanno dovuto di fatto utilizzare dei modelli molto semplificati, anche perché abbiamo avuto, come collettività sociale, uno scarso investimento sull’acquisizione di quel tipo di dati in cui questi modelli avrebbero avuto bisogno di nutrirsi e che sono modelli costruiti sulla base di tipo sociologico, a cui mi riferivo io all’inizio. Faccio un esempio banalissimo: i sistemi locali del lavoro che Istat, su cui Istat lavorava e ha lavorato sempre coi suoi censimenti dandoci una fotografia dei flussi legati agli spostamenti per motivi di lavoro verso una provincia e da quella provincia verso le altre, ebbene, sono dati che noi abbiamo con intervalli che sono legati alle rilevazioni censuarie. Quindi, i dati più recenti che abbiamo si riferiscono all’ultimo censimento. Sappiamo che Istat utilizzerà per il prossimo, per il censimento in corso, uno strumento campionario e non più generalizzato, ma noi sappiamo benissimo che per esempio, esistono dati di cui i nostri telefoni cellulari sono gli strumenti di rilevazione, che in questo momento sono proprietà di quelle società come Google e le altre società che gestiscono le piattaforme di rete, di dati con i quali c’è stata a livello europeo una negoziazione per rendere tutti i dati, che per esempio verranno raccolti attraverso l’app Immuni, anonimi. Ebbene, una richiesta che i sociologi potrebbero fare e che è un investimento collettivo che, probabilmente, non valorizza abbastanza il dato che risponde a domande di tipo sociologico, ma che in questo caso sarebbe preziosissimo, sarebbe stato quello di chiedere e sarebbe molto interessante chiedere a chi gestisce queste piattaforme, i dati su questi flussi che non sono più a livello provinciale, ma possono esser dati di quei modelli, a cui faceva per esempio riferimento il collega Squazzoni, potrebbero nutrirsi facendo da base estremamente utile per una ricalibratura contestualizzata dei modelli epidemiologici che sarebbe estremamente utile in questo momento come supporto agli altri indicatori che verranno utilizzati per decidere come rendere flessibile eventualmente l’uscita dal lockdown. Per quanto riguarda, invece, la seconda parte della sua domanda, la mia risposta, brevissima, è che la sociologia è fondamentalmente strumento di riflessività sulla società e che il tempo, a cui si riferiva Burawoy, a cui si riferisce la metafora famosa degli angeli, dal punto di vista sociologico non è una dimensione astratta. Dentro il tempo ci sono gli attori sociali che producono il mutamento, il cambiamento sociale, anche quello che produce quei rischi di lockdown a cui stiamo facendo riferimento e di cui la pandemia è uno, ma di cui anche il cambiamento climatico è un altro con cui dovremmo tutti avere a che fare e il cambiamento viene letto dalla ricerca sociale consentendoci di vedere contemporaneamente sia risultati dei processi di tarda modernizzazione, che ciò che esse producono in termini sia di, appunto, ciò che viene letto come progresso, come progresso tecnologico, come progresso nelle condizioni di vita, ma anche quei mali che se ignorati, se considerati soltanto effetti collaterali e non riletti come l’analisi sociologica ci aiuta a fare, come costitutivi insieme ai risultati positivi della situazione complessiva non ci consentono di leggere quella metamorfosi continua del mondo che il cambiamento produce e che soltanto una lettura dalla prospettiva dell’osservatore e non dell’attore sociale ci consente di vedere contemporaneamente vedendo insieme sia i rischi che le opportunità che il cambiamento produce. Le opportunità di trasformazione che ci consentono di evitare il dilemma tra catastrofismo e ottimismo ceco trasformando in domande emancipative, in domande di migliore distribuzione delle risorse, migliori distribuzioni delle opportunità di vita, i dilemmi nei quali ci troviamo.”
Giovannipaolo Ferrari: “Grazie professoressa”
Maria Carmela Agodi: “La Sociologia pubblica è quella che rende pubblica queste nuove domande e quindi una doppia faccia del cambiamento sociale.”

Giovannipaolo Ferrari: “Grazie professoressa Agodi per questa ampia riflessione sul ruolo pubblico della Sociologia. Io rimarrei su questo argomento, sulla domanda che ho posto alla professoressa Agodi volgendola al professore Squazzoni, che ha parlato proprio di sociologia ingenua dei modelli epidemiologici in un articolo, e vorrei chiederle la sua opinione anche rispetto a tutta la grande visione d’insieme che ci ha dato la professoressa Agodi. Grazie.”
Flaminio Squazzoni: “Allora, la presidentessa dell’AIS ha totalmente ragione. Siamo arrivati a questa crisi impreparati strutturalmente soprattutto a livello infrastrutturale, come dicevo in precedenza. Dobbiamo pensare di imparare la lezione del Covid-19 e cercare di capire come la ricerca sociale, la scienza sociale in genere, possa sviluppare infrastrutture di condivisione dati che ci consentano la prossima volta di essere più pronti, meno dipendenti da dati istituzionali e molto più capaci di collaborare, nel caso del Covid-19, con virologi ed epidemiologi per cercare di consentire che questi modelli abbiano dei fondamenti sociologici più importanti ed opportuni. Quindi, diciamo che colgo il punto della collega per dire che sono interessato più a quanto la ricerca sociale possa contribuire, in questa fase, a fornire conoscenza in grado di aiutare i decisori pubblici a prendere decisioni più responsabili. Sono quasi più interessato a capire come fare tesoro di questo evento per produrre ricerca sociologica, ricerca sociale più utile, più vantaggiosa. Non c’è dubbio che buona parte dei ricercatori sociali, in questi ultimi mesi, abbiano vissuto un po’ un senso di frustrazione, no? Frustrazione dovuta al fatto che ci sarebbe stato bisogno di ricerca sociale, c’era bisogno di sociologia, c’era bisogno di modelli in grado di catturare, esprimere, misurare, informare il decisore pubblico sulle dinamiche sociali connaturate alla diffusione del virus, mentre appunto noi non siamo stati preparati ad affrontare questa sfida. Diciamo che io, anche per inclinazione personale, sono sempre molto autocritico su me stesso, sulla nostra disciplina e quindi anche in questa sede esce questo lato della mia personalità. Detto questo, attenzione, io ho criticato in maniera abbastanza precisa questi modelli epidemiologici utilizzati dai decisori. Li ho criticati non dall’esterno. Non ho criticato l’utilizzo dei modelli di simulazione o l’utilità dei modelli previsionali o l’utilità e il danno di modelli basati su dati, anche spesso abbastanza incerti. Li ho criticati sul fatto che questi modelli avevano delle assunzioni legate anche al contagio e ai contatti sociali che la scienza sociale ha superato da almeno 25 anni e, quindi, quando li ho criticati, ho utilizzato questa espressione della sociologia ingenua dei modelli epidemiologici a segnalare il fatto che, purtroppo, per una serie di motivazioni e di circostanze, i gruppi di ricerca che sono stati più influenti nella percezione e nelle risposte politiche al Covid-19, erano gruppi di ricerca in cui non vi erano competenze né comportamentali, né sociologiche. Cerchiamo, per la prossima volta, di costruire infrastrutture di ricerca interdisciplinari in cui i diversi specialisti, nelle loro rispettive competenze, possano collaborare a una sorta di scienza sociale delle emergenze. Questa dovrebbe essere la priorità anche in termini di policy, di impegno della comunità europea nel rivedere quelli che saranno i fondi di investimento, le infrastrutturazioni della ricerca europea del post Horizon 2020. Secondo me questa deve essere la priorità: una scienza interdisciplinare delle emergenze che metta a collaborare in infrastrutture di ricerca epidemiologi, specialisti delle scienze mediche, delle scienze tecnologiche e, appunto, specialisti delle scienze sociali. Dobbiamo attrezzarci alle prossime crisi globali che caratterizzeranno questo nostro XXI secolo.”
Pietro Dommarco: “Grazie professor Squazzoni. Io vado, con l’ultima domanda, dalla dottoressa Sabbadini. Lei ha condotto negli anni importanti studi di statistica sociale sulle trasformazioni sociali, familiari, demografiche, trasformazioni del lavoro, delle disuguaglianze. Ne abbiamo in parte parlato nella prima parte di questa trasmissione. Quali saranno le condizioni sociali delle famiglie Italiane dopo il Covid-19 e quale sarà l’evoluzione, invece, delle disuguaglianze sociali nel nostro Paese?”
Linda Laura Sabbadini: “Molto dipenderà anche da quanto sapremo sfruttare, anche da un punto di vista delle politiche, l’opportunità, tra virgolette, ovviamente in un quadro del genere dobbiamo metterla tra virgolette, di avere a disposizione, come dire, un capitale da investire così grande, come mai è successo, e saperlo, come dire, indirizzare per un rilancio del Paese. Allora, come dicevamo prima, anche alla luce del quadro delle disuguaglianze che si sono sviluppate all’interno del Paese già prima del Covid-19, è evidente che nel momento in cui è arrivato il Covid-19, è stato ben messo in luce negli interventi precedenti, è chiaro che ci siamo trovati rispetto ad una situazione sociale che non era ovviamente delle migliori. Anche a livelli precedenti la crisi del 2008/2009. Il rischio che noi abbiamo di fronte qual è? Da un lato che possano peggiorare ulteriormente la situazione sociale relativa ad alcuni gruppi già particolarmente svantaggiati. Un esempio forse evidente è quello dei lavoratori irregolari, che sono lavoratori che sono particolarmente a rischio. Tra l’altro non sono pochi, sono circa il 13% del totale degli occupati e sono particolarmente esposti perché ovviamente non sono minimamente tutelati da nessun punto di vista. Non possono avere accesso agli ammortizzatori sociali, alla cassa integrazione e quindi possono essere raggiunti soltanto attraverso misure di reddito di assistenza. Quindi, un terreno è quello dell’aggravamento di segmenti che sono già segmenti particolarmente marginalizzati all’interno del mercato del lavoro. Dall’altro il rischio di aumento di disuguaglianze in soggetti, come dicevamo prima, che già le avevano vissute seppur non a livello di questo segmento più estremo degli irregolari e le difficoltà che si aprono in settori, come quello del turismo e quello della ristorazione che sono settori che ovviamente sono stati colpiti dalla crisi precedente, ma che negli ultimi anni avevano conosciuto una ripresa e che avranno un colpo particolarmente grande che non si potrà risolvere nel giro di poco tempo e, soprattutto, per quanto riguarda diciamo tutta la parte di piccole imprese, microimprese, che come sappiamo nel nostro Paese è particolarmente sviluppata. Mi volevo soffermare, in particolare, su due nodi che non sono gli unici ma che abbiamo bisogno di tener presente con attenzione. Sono stati anche al centro del dibattito. Uno è quello dei bambini e dei minori, perché l’arrivo del Covid-19, giustamente, da un punto di vista sociale ha creato un problema in questo senso e la chiusura delle scuole ha ampliato di per sé le disuguaglianze. Basti pensare che il 21% dei minori non ha nessuna attrezzatura informatica, nessun computer in casa. Potrebbe avere il telefonino, ma sfido chiunque, un bambino delle scuole primarie non può che avere molta difficoltà a seguire una lezione tramite il cellulare, quindi già questo è un elemento particolarmente grave, cioè l’impatto del digital divide può avere, in particolare, nella condizione dell’infanzia in un contesto in cui si sviluppano le lezioni online. La seconda cosa è anche il sovraffollamento delle abitazioni. I minori, a differenza degli anziani che abitano tendenzialmente in abitazioni più grandi e in rapporto al numero di componenti vivendo soli o vivendo tendenzialmente in coppia, per i bambini e per i minori, soprattutto del Sud il tasso di affollamento è molto più alto. Arriviamo ad un 41% dei minori che secondo la definizione Eurostat vivono in abitazioni sovraffollate. È evidente che questi due dati: sovraffollamento da un lato e la mancanza di infrastrutture informatiche creano un peggioramento proprio in quei segmenti di bambini che sono quelli che sono stati più colpiti dalla crisi precedente ed eravamo già arrivati ad 1 milione e 200 mila poveri assoluti. L’altro fronte è quello della condizione femminile. E qui il problema è serio perché noi continuiamo a lavorare, nonostante le donne da un punto di vista quantitativo dell’occupazione non siano state tra le più colpite di questa crisi. Quindi gli uomini sono stati colpiti di più perché più inseriti nell’industria e nelle costruzioni e le donne nei servizi. Quello che è successo con l’emergenza Coronavirus è stato che molte donne, ovviamente, essendo inserite nella pubblica amministrazione, essendo molto inserite nella scuola e nell’istruzione si sono ritrovate in smart working, tra virgolette, lo dico tra virgolette perché era più un lavoro forzatamente in casa piuttosto che veramente smart working che dovrebbe essere più flessibile. E qui il problema è che si è aggravata la condizione femminile con un problema di conciliazione dei tempi di vita, perché il sovraccarico di cura in realtà si è visto, si è accentuato nel senso che mentre prima il sovraccarico di cura si distribuiva comunque in fasi della giornata diverse, per cui il lavoro di cura dei figli avveniva in ore diverse da quello del lavoro adesso c’è una sovrapposizione totale per chi sta in smart working, soprattutto donne, svolge il lavoro di cura e compie un lavoro extradomestico. Quindi, uno stress particolarmente elevato e che fa sì che questo metta a rischio anche la possibilità di mantenere un lavoro, mantenerlo a lungo e aumenta le probabilità di interruzione dello stesso. Sono solo due temi, ovviamente, la scia grossa che c’è da un punto di vista è una: quella che le risorse che saranno disponibili, siano indirizzate in modo tale che questa contraddizione storica che il nostro Paese ha possa essere in qualche modo superata. E il piano, diciamo così, dello sviluppo non solo delle infrastrutture in senso lato, ma soprattutto delle infrastrutture sociali, è uno di quelli su cui bisognerebbe orientarsi seriamente una volta per tutte. Credo che se questa sfida non la vinciamo adesso difficilmente in futuro avremo altre occasioni.”
Pietro Dommarco: “Grazie dottoressa Sabbadini e in bocca al lupo per il lavoro che sta svolgendo nella task force.”
Linda Laura Sabbadini: “Crepi il lupo e grazie a voi.”
Pietro Dommarco: “Noi facciamo l’ultima pausa della serata e ci troviamo qui tra un minuto per leggere, eventualmente, le domande di chi ci ascolta e tirare le conclusioni. A tra poco.
[pausa]
E noi siamo rientrati su Radio Covid per l’ultima parte della puntata. Giovannipaolo Ferrari, se non sbaglio, dovrebbe essere arrivata una domanda per la professoressa Agodi.”
Giovannipaolo Ferrari: “Si, si Pietro. È arrivata una domanda da un sociologo di un Piano di Zona per la professoressa Agodi. Chiede, questo sociologo, se molti sociologi professionisti non accademici hanno avuto ruoli importanti negli enti, nei Piani di Zona. Che ne pensa, professoressa? Un suo pensiero su questo.”
Maria Carmela Agodi: “Beh, questo varia molto da regione a regione. Come sappiamo il nostro welfare è un welfare che è diventato sempre più regionalizzato dopo la riforma del Titolo 5 della Costituzione. Nei Piani di Zona i sociologi hanno ruoli, ripeto, molto differenziati a seconda del tipo di welfare. Nella progettazione, nella costruzione dei piani, nella programmazione dei welfare regionali e quindi sia a livello regionale sul piano generale, sia a livello di specificazione dei singoli piani regionali, il ruolo del sociologo è sicuramente un ruolo importante perché è un ruolo di decifrazione delle domande e quindi di welfare, di servizi, che è meno codificato dentro, come dire, le professionalità spesso, in qualche modo, definite e regolate in maniera piuttosto settoriale, nonostante i tentativi di costruire le strategie settoriali e multidisciplinari nei servizi sociali stessi. Quindi, la chiave di lettura del sociologo che è capace di trascendere il modo in cui le domande, invece, sono codificate dalle singole professionalità, penso alle professioni sanitarie, penso alle stesse professioni dei servizi sociali, di assistenti sociali; la capacità del sociologo è quella di, dovrebbe essere nella programmazione, quella di rispondere e definire le domande sociali attraverso una chiave di ricerca costante e una capacità di monitoraggio e di valutazione continua, dando quindi alla programmazione, che per giunta poi è nei Piani di Zona, una chiara dinamica, una chiave di lettura dinamica dei bisogni sociali capace di far fronte alle trasformazioni e capace quindi di funzionare poi da stimolo per le stesse professioni del sociale, le professioni sanitarie che si integrano nella decisione, nella singola policy, nel singolo bisogno dei servizi sul territorio, una maggiore capacità di rispondere al mutamento sociale, ai nuovi bisogni che ne vengono continuamente, come a quelli a cui ha fatto cenno prima la dottoressa Sabbadini.”

Giovannipaolo Ferrari: “Grazie professoressa Agodi. Intendevo durante la pandemia, nel senso, il ruolo che, anche un ruolo importante che negli enti statali e nei piani di zona hanno avuto i sociologi. Potrebbe giusto aggiungere una brevissima riflessione su questo a corredo del quadro generale che ha già fatto pocanzi?”
Maria Carmela Agodi: “Si, nella situazione particolare dell’emergenza i sociologi hanno avuto, i sociologi che erano coinvolti, hanno avuto un ruolo che è appunto collegato a questa lettura di prossimità dei bisogni che emergevano. I sociologi sono quelli hanno potuto restituire immediatamente la domanda che emergeva nelle comunità nelle quali gli ammalati si trovavano chiusi in casa insieme ai loro familiari, nella situazione di difficoltà costituita dalla emergenza dovuta all’improvvisa mancanza di reddito, tante famiglie che già si trovavano in situazione di grande vulnerabilità sociale. I sociologi hanno avuto una presenza dove, appunto, il loro profilo era previsto all’interno delle strutture istituzionali. Il punto vero è che la professionalità del sociologo è una professionalità che al momento attuale, stando fuori dall’ambito accademico non ha un grande riconoscimento all’interno delle nostre istituzioni. Perché le nostre istituzioni non hanno, se non soltanto sulla carta, uno spazio vero per quella lettura dinamica dei bisogni del cittadino. Per quella lettura dinamica che tiene insieme la programmazione dei servizi, il monitoraggio e la valutazione. Questa è una funzione che i sociologi sono, in maniera specifica, in grado di realizzare, ma che non ha, probabilmente a livello istituzionale, il riconoscimento che dovrebbe avere. In questo senso la pandemia è la mancanza o la difficoltà ad avere antenne sociali in termini di lettura dei fenomeni emergenti sul territorio, ci dà un’altra lezione che è la lezione per cui anche la sociologia professionale, con la sua capacità di ricerca applicata, di monitoraggio immediato e di interpretazione dei mutamenti in corso anche nella prossimità alle comunità sociali, anche a quelle più marginali, potrebbe dare.”
Pietro Dommarco: “Grazie, grazie professoressa Agodi. Io la ringrazio moltissimo, ringrazio l’Associazione Italiana di Sociologia e ringrazio anche la dottoressa Sabbadini, ricordiamo, Direttrice centrale dell’Istat e il professor Flaminio Squazzoni, professore di Sociologia presso l’Università Statale di Milano. Vi ringrazio per la vostra partecipazione e per il prezioso contributo.”
Pietro Dommarco: “Grazie ancora ai nostri ospiti. Noi invece andiamo da Giovannipaolo Ferrari, il nostro Direttore Scientifico per il consueto editoriale conclusivo. Giovannipaolo.”
Giovannipaolo Ferrari: “Si Pietro, grazie, ti ringrazio. Devo ringraziare anch’io i nostri ospiti, in primis la professoressa Agodi che anche come presidente dell’AIS intervenuta stasera e ci ha fatto molto piacere anche il contributo che l’AIS ha dato alla buona riuscita anche delle nostre trasmissioni divulgando le locandine dei nostri eventi su Facebook. Ringrazio il professor Flaminio Squazzoni per il suo contributo e la dottoressa Sabbadini che sappiamo molto impegnata in questo momento e quindi la ringrazio particolarmente per essere stata con noi questa sera. Siamo arrivati – poi tirerai tu le conclusioni Pietro dopo il mio intervento – siamo arrivati alla fine di questo primo ciclo di trasmissioni di Radio Covid e in questi mesi abbiamo assistito ad una proliferazione di dichiarazioni e di studi di ricercatori delle discipline più svariate. L’atteggiamento dei sociologi in Italia, come diceva anche il professor Squazzoni, che lo ha ripetuto più volte questa sera durante i suoi interventi, mi è apparso molto prudente. Avendo la stessa forma mentis, essendo anch’io un sociologo, tenterò questa sera di spiegare, di interpretare il perché della resistenza del sociologo di analizzare i primi dati e per la loro attendibilità. Una prima cosa che ho pensato, come il professor Squazzoni ha sottolineato, è che non c’erano evidenze empiriche, si trattava di dati sommari, non potevo analizzare dati che non ritenevo attendibili. Infatti, aspettavo il primo Rapporto Istat che è arrivato puntuale la settimana scorsa con le serie storiche degli anni precedenti per fare una prima comparazione per quanto riguarda l’Italia. Sicuramente sin dal principio ho sentito l’esigenza di fare qualcosa, di dire qualcosa, ecco, la stessa esigenza che esprimevano stasera la professoressa Agodi e il professor Squazzoni nei loro interventi. Essere chiusi in casa senza poter far nulla, impotenti mentre in Tv e sui giornali schiere di medici, virologi, fisici, matematici si spendevano nel commentare questioni di statistica sociale o organizzazione sociale dello spazio urbano, questioni relative al welfare, alle politiche di sostegno al reddito e al funzionamento del Sistema Sanitario Nazionale, azzardando previsioni e soluzioni che non contemplano minimamente la complessità sociale né i milioni di variabili intervenienti nella costruzione delle realtà sociali, come direbbero Berger e Luckmann. Ecco questo mi straniva leggermente. Sono contento di non essere solo e di aver buona compagnia come è emerso dal tono degli interventi dei nostri ospiti di stasera. Quella che ho chiamato prudenza – perciò – ha tenuto lontani dalla scena pubblica la maggior parte dei sociologi nel primo periodo della pandemia. Poi, piano, piano si è iniziato con qualche webinar, qualche giornata di studi su Zoom, qualche iniziativa editoriale online.
Bisogna tenere in considerazione altri tre fattori: 1) L’università italiana ha iniziato a lavorare immediatamente in modalità remoto e questo ha impegnato non poco i docenti e molti di loro hanno affrontato, durante i loro corsi online, questioni relative al Covid-19; 2) A parte alcuni sociologi, i giornalisti hanno continuato ad invitare nelle loro trasmissioni politici, economisti e soprattutto giornalisti; 3) Il governo e di riflesso anche i media hanno creduto, a torto o a ragione, che bisognasse coinvolgere, in special modo, virologi ed epidemiologi marginalizzando ed escludendo automaticamente le altre categorie.
La battaglia che bisogna combattere, che ha messo in evidenza più volte la professoressa Agodi questa sera – quindi – è soprattutto una battaglia di riconoscimento sociale e professionale dove la sociologia deve svelarsi al pubblico o ai pubblici. Abbiamo bisogno cioè di una sociologia che si occupi dell’immagine pubblica della sociologia, della presentazione dei risultati delle ricerche in maniera accessibile a tutti e all’insegnamento e alla divulgazione più ampia possibile dei fondamenti della sociologia. Ciò non deve avvenire forzatamente adattando il discorso sociologico alle nuove forme di comunicazione, ma attraverso la presenza costante nello spazio pubblico allargando gradualmente il proprio pubblico di riferimento: dagli studenti, alle associazioni, ai movimenti sociali, ai social, per arrivare alle istituzioni e ai media mainstream.
Bisogna – quindi – invertire la tendenza degli ultimi 20 anni a istituzionalizzare la sociologia italiana nell’appiattimento di correnti politiche all’interno dei partiti politici di riferimento accontentandosi di diventare uno dei consiglieri, uno dei tanti consiglieri, dell’astro nascente (e cadente…) di turno della “politica giovanilistica” del nostro Paese.
Come realizzare il progetto ambizioso di Sociologia Pubblica teorizzato da Michael Burawoy, che citavo prima e che risale ormai a quasi vent’anni fa? Un buon inizio è il manifesto DemocratizingWork pubblicato proprio ieri sul Manifesto, non a caso promosso da tre sociologhe del lavoro e dell’organizzazione come Isabelle Ferreras, Dominique Méda, and Julie Battilana. Tra l’altro le prime adesioni a questo manifesto sono arrivate proprio da un gruppo di donne. Le tre ricercatrici propongono di democratizzare le industrie, de-mercificare il lavoro e risanare l’ambiente, quindi tre questioni fondamentali. L’appello ha raccolto in pochissimi giorni 3.000 adesioni di ricercatori da tutte le università e istituti di ricerca del globo ed è stato pubblicato in 25 lingue su 37 giornali in tutto il mondo. Una convergenza d’intenti incredibile, ma c’è da fare in proposito alcune riflessioni sul caso italiano, su com’è stato recepito questo appello nell’ambiente dell’accademia italiana. Mi chiedo perché in Italia sia stato scelto solo il Manifesto per la pubblicazione dell’appello mentre in Francia lo ha pubblicato Le Monde, in Inghilterra The Guardian, in Germania il Die Ziet. Un altro interrogativo è perché nei primi 3.000 firmatari ci sono soltanto 38 docenti e ricercatori di atenei italiani, tutti concentrati tra l’altro, nel Nord Italia? Ad oggi, dopo la pubblicazione del manifesto, il numero dei firmatari è 4069 e la percentuale degli italiani che hanno sottoscritto l’appello è ancora bassissima: 1,7%.
Mi chiedo se quello che Buroway sostiene nella sua I Tesi a sostegno di una Sociologia Pubblica cioè che Il desiderio di una sociologia pubblica è più forte, e la sua realizzazione più difficile, poiché la sociologia è andata a sinistra mentre il mondo è andato a destra; in Italia sia valido al contrario cioè Il desiderio di una sociologia pubblica è più debole, e la sua realizzazione ancor più difficile, poiché la sociologia italiana è andata a destra (o almeno al centro) seguendo il mondo che andava a destra.
Grazie, ho terminato il mio intervento. Pietro, permettimi di ringraziarti in questa co-conduzione di Radio Covid e di questa esperienza che abbiamo portato avanti insieme in questi mesi. Ringrazio i nostri radioascoltatori e ringrazio il professor Paolo Diana che con il suo contributo e con la sua consulenza scientifica ci ha dato l’opportunità di ampliare i nostri orizzonti conoscitivi e scientifici sul Covid-19. Il suo contributo è stato fondamentale nella realizzazione del progetto di Radio Covid. Pietro a te la parola.”
Pietro Dommarco: “Grazie, grazie Giovannipaolo Ferrari. Ovviamente mi unisco ai ringraziamenti per il professor Paolo Diana che è stato diverse volte con noi ospite in questo percorso di 17 puntate e lo ringrazio per il prezioso contributo che ci ha dato non solo nel corso delle puntate nelle quali ha partecipato, ma per aver preso a cuore il progetto di Radio Covid e per averci aperto, diciamo, una rete che è risultata finora fondamentale per portare avanti questo progetto. Ricordo che Radio Covid è una webradio tematica. Abbiamo cercato in queste settimane, in queste 17 puntate, di approfondire vari temi, dall’informazione, alla comunicazione, abbiamo parlato di smart working, di disuguaglianze sociali, di cambiamento, di mutamenti sociali, abbiamo analizzato come la nostra società cambierà, è cambiata a fronte della pandemia, di come sono cambiate le nostre abitudini. Abbiamo parlato degli impatti ambientali del nuovo Coronavirus. Il nostro obiettivo, e speriamo di esserci riusciti, è stato quello di costruire con tutti gli ospiti una narrazione differente rispetto a quella che ci offrono i media mainstream. Come dicevamo in apertura, Radio Covid è arrivata alla conclusione di questa prima parte di stagione. Ricordo che è possibile riascoltare le 17 puntate sul nostro sito www.radio-covid.it o è possibile rivedere tutte le dirette che abbiamo fatto, siamo su Facebook direttamente sulla nostra, sul nostro canale YouTube che ricordo essere Ossopensante Tv e riascoltare invece i live in formato podcast su Spotify, Apple Podcast o Google Podcast. Ringrazio, ovviamente, Giovannipaolo Ferrari. Ti ringrazio di cuore. Il mio è un ringraziamento fraterno. Ti abbraccio come se stessimo l’uni vicino all’altro. E ringrazio anche chi ci ha seguito in questo percorso di 17 puntate senza alcuna sosta. Siete stati tantissimi, vi ringrazio per i consigli e per aver reso possibile tutto questo. Ovviamente, come dicevo in apertura, Radio Covid non si ferma, continueremo, ma per il momento andremo avanti con un nuovo format già inaugurato la settimana scorsa con Sigfrido Ranucci. Il nuovo format si chiama: “Interviste al tempo del Covid, 19 minuti con…“. Ovviamente poi ritorneremo con i nostri talk. Prima di chiudere volevo segnalare un’interessante iniziativa che si svolgerà domani dalle 18.30 alle 19.30 sul canale YouTube FestaRossa2009, l’iniziativa è organizzata dalla organizzazione politica Rivoluzione. Il tema dell’appuntamento è Covid-19 e la lotta contro il cambiamento climatico. Lo dico anche a quei radioascoltatori che questa sera ci hanno posto delle domande sull’argomento impatto ambientale ed ecologia. Seguite questo appuntamento. A me non resta che ringraziarvi ancora una volta ed augurarvi una buonanotte. A presto.”