Al microfono:
Pietro Dommarco, giornalista, direttore del periodico Terre di frontiera, Premio Restart Antimafia 2018, Premio Giornalistico Reporter per la Terra 2016, Premio internazionale all’impegno sociale 2015.
Ospiti della puntata:
Edoardo Novelli, Professore di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università degli Studi di Roma Tre, Giorgio Zanchini, Giornalista Rai, scrittore e saggista, conduttore di Radio Anch’io su Radio 1 Rai e di Quante Storie su Rai Tre e Giovannipaolo Ferrari, Sociologo, esperto di analisi delle politiche pubbliche con particolare attenzione ai temi del lavoro, delle politiche sociali e ambientali.
Pietro Dommarco: Non avrei mai pensato di dovermi occupare di un tema così difficile e complesso come quello di una pandemia globale che ha cambiato le nostre abitudini e, lentamente, sta modificando i confini del nostro spazio vitale. Ma ancor di più, non avrei mai pensato di dover aprire questa terza puntata di Radio Covid con una notizia – triste oltre ogni misura – che mi tocca molto da vicino.
Antonio Nicastro, che avrebbe compiuto 68 anni ad agosto, non ce l’ha fatta. Non ha sconfitto il Covid. Era ricoverato in terapia intensiva al San Carlo di Potenza. Qui il comunicato dell’azienda ospedaliera.
Ma avrebbe vinto se le sue reiterate richieste di aiuto, a tutti i livelli degli organi sanitari, fossero state accolte. Come, nella puntata di domenica 29 marzo, ci ha raccontato il figlio Valerio, che abbraccio.
Antonio era un mio caro amico. Antonio è un mio caro amico. Lo conoscevo da più di quindici anni. E lascia in me e in tutte le persone che lo conoscevano e stimavano un ricordo onesto, di impegno civile disinteressato. Ciao Antonio.
Da oggi, il ruolo di questa piccola e giovanissima emittente radiofonica cambia. Non solo veicolo di storie e testimonianze dalla Generazione Covid, ma anche presidio informativo.
Non riesco a dare un senso alla morte. Ma quella di Antonio poteva essere evitata? C’è stata sottovalutazione del rischio. Perché non è stato ascoltato? Può mai esserci un protocollo che di fronte ad una serie di sintomi riconducibili al nuovo coronavirus non attivi tutte le procedure necessarie. È mai possibile che in una regione come quella lucana, non sotto pressione, come sta accadendo in Lombardia o in altre regioni, si debba sottovalutare una richiesta di aiuto?
Chiediamo e chiedo al lucano ministro della Salute, Roberto Speranza, di non far passare la vicenda di Antonio sotto traccia. Di indagare subito sul caso di Antonio Nicastro e sul caso di altri malati di coronavirus che non ce l’hanno fatta per mancanza di tempestività.
Perché, ministro Speranza, sappiamo entrambi che non è solo mancanza di tempestività.
C’è stata sottovalutazione del rischio anche in Italia, e negli altri Paesi, fin dalle prime notizie di gennaio sul Covid 19 che arrivavano dalla Cina?
Giovannipaolo Ferrari: Come abbiamo visto dalla ricerca EuroMood del professor Edoardo Novelli e dalla testimonianza diretta di un giornalista come Giorgio Zanchini, i media italiani si sono mossi prima e meglio di quelli degli altri Paesi europei.
Ma a cosa è stata dovuta questa maggiore attenzione dei mezzi di comunicazione di massa italiani rispetto agli altri paesi, che sono sembrati in netto ritardo?
Anche la politica e in primis la politica italiana, come abbiamo visto, è apparsa in affanno nel rincorrere le notizie che arrivavano dagli ospedali del lombardo-veneto.
Dunque, perché in Italia c’è stata una maggiore attenzione per l’emergenza sanitaria del Covid-19 e i media hanno seguito pedissequamente la diffusione del contagio dalla Cina fino in Italia ed Europa? Perché c’è stata questa copertura mediatica che, probabilmente, ha fatto anche prendere prima e maggiormente coscienza al governo e alla popolazione italiana dell’enorme rischio che si stava correndo?
Azzardiamo, qui un paio di ipotesi:
1. La prima ipotesi si rifà a quella che in Italia viene sempre definita instabilità politica dovuta al nostro sistema elettorale e alla nostra tradizione consociativa. In questa occasione il discorso potrebbe essere ribaltato vedendo nel sistema italiano un sistema pluralistico dove l’informazione, pur essendo molto parziale e compromessa da fazioni politiche e poteri forti, rispecchia la frammentazione in molteplici voci contraddittorie che si alternano e si confrontano anche aspramente e in maniera non ortodossa sul palcoscenico del dibattito politico. Uno strano pluralismo, certo, anomalo nelle sue forme e manifestazioni, ma pur sempre tale. Quel pluralismo dell’informazione che è mancato in Paesi come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna dove si è vista un’informazione appiattita sulle posizioni governative, ma che ogni anno tutti gli indici di rilevazione sulla libertà di stampa e di opinione valutano migliore rispetto a quella italiana. Sì, sto supponendo che la frammentazione politica in Italia, per una volta, non ha assunto i toni negativi dell’ingovernabilità politica, ma ha permesso di avere una molteplicità di voci discordanti che hanno spostato l’attenzione mediatica sul Covid-19.
2. La seconda ipotesi avvalora la teoria della differenza culturale, senza scomodare l’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber; nelle scorse settimane abbiamo vissuto una vera e propria frattura culturale tra i paesi dell’Europa meridionale e i Paesi dell’Europa del nord. A partire dalla linea del premier britannico, Boris Johnson, che aveva sposato una sorta di darwinismo sociale con la proposta dell’immunità di gregge, idea che ha fatto rabbrividire non solo tutti i cattolici dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche chi ha avuto un certo tipo di formazione ed è cresciuto sotto l’egida dei valori costituzionali di equità sociale e laicità dello Stato di diritto.
Altri aspetti raccapriccianti hanno consolidato questo mio pensiero: l’indifferenza durante le prime settimane di contagio in Italia da parte di tutti i Paesi europei e alleati e la conseguente mancanza di aiuti concreti in quei giorni. Solo una settimana dopo che gli ingenti aiuti di Cina, Cuba e Venezuela sono giunti nel nostro Paese, l’Occidente si è svegliato e i nostri alleati storici hanno iniziato a fare qualcosa per noi.
Il gesto, infine, del presidente albanese, Edi Rama, ci ha ricordato che anche gli italiani sono stati generosi e solidali in passato accogliendo le navi cariche di immigrati sulle coste adriatiche immortalate nella splendida fotografia del film di Gianni Amelio. Questo gesto, durante una tragedia enorme per la nostra comunità, spero abbia definitivamente riconciliato l’Italia con la sua grande tradizione di umanitarismo internazionale.
Siamo un popolo che ha sofferto e che, purtroppo, soffre ancora, ma che di fronte alla sofferenza altrui non perde la memoria, non si volta dall’altro lato fingendo di non vedere, come, ahimè, hanno fatto in tanti nelle settimane passate aldilà delle Alpi, in quelle sedi istituzionali che dovrebbero rappresentare l’intera comunità europea in un principio di fondo di solidarietà e coesione sociale.