Parte stasera il progetto informativo Radio Covid. L’obiettivo, in questa fase estremamente delicata per il nostro Paese e per l’intera umanità, è cercare di fare ordine nel marasma informativo generato intorno all’emergenza coronavirus. Raccoglieremo le storie di chi – questa emergenza – la sta vivendo in prima linea; ascolteremo gli esperti e i ricercatori; racconteremo come muta, evolve e cambia quotidianamente quella che abbiamo definito Generazione Covid. Ognuno di noi ha il dovere di intervenire ed esprimere le proprie idee su ciò che sta accadendo, ma partendo dalle proprie esperienze e competenze accumulate, evitando così di generare caos e confusione e alimentare la disinformazione.
Al microfono:
Pietro Dommarco, giornalista, direttore del periodico Terre di frontiera, Premio Restart Antimafia 2018, Premio Giornalistico Reporter per la Terra 2016, Premio internazionale all’impegno sociale 2015
Ospiti della puntata:
Giovannipaolo Ferrari, sociologo, esperto di analisi delle politiche pubbliche con particolare attenzione ai temi del lavoro, delle politiche sociali e ambientali.
Giovannipaolo, partendo dalla tua esperienza, un ricercatore di scienze sociali quale approccio deve adottare in merito al tema Covid19?
In questo periodo drammatico e oscuro per l’intera umanità, molti amici ci chiedono, di esprimere il nostro pensiero su quest’emergenza sanitaria. Prima di dare risposte avventate o farci fagocitare dal vortice mediatico, abbiamo ritenuto di strutturare il nostro intervento in modo da poter dare un contributo valido al dibattito che sta coinvolgendo e, diremmo, travolgendo tutti, nessuno escluso. Ognuno di noi, secondo il nostro avviso di ricercatori e giornalisti, ha il dovere di intervenire ed esprimere le proprie idee su ciò che sta accadendo, ma a partire dalle proprie esperienze e competenze accumulate evitando così di generare caos e confusione e di alimentare la disinformazione attraverso fake news o opinioni strumentali e campate in aria.
Da ricercatori di scienze sociali e giornalisti d’inchiesta non potevamo e non possiamo intervenire sulle cause o ragioni che hanno portato a questa situazione e non sarebbe esattamente il nostro oggetto di ricerca se fossimo coinvolti in un qualsivoglia tipo di investigazione sul Covid-19. Il nostro scopo, quindi, non è quello di indagare, le origini e le cause di questa pandemia: non siamo virologi o biologi e non siamo interessati alle ipotesi che possono essere fatte al riguardo. Non prendiamo al vaglio, cioè, nessuna teoria che sostenga che il virus è stato trasmesso da un animale all’uomo fino ad arrivare alle ipotesi complottiste che teorizzano una guerra batteriologica. La nostra attenzione è focalizzata sui fatti che stanno accadendo oggi in Italia e nel mondo e alla loro percezione ed interpretazione.
Come valuti le misure e le azioni messe in campo dai differenti governi nazionali per fronteggiare l’emergenza sanitaria?
Il Covid-19 è un fatto empirico perché esiste nel mondo come fenomeno sociale: è lapalissiano ripetere che oggi viviamo uno stato di emergenza causato da un allarme medico-sanitario planetario e che i governi dei vari stati nazionali agendo nella pratica in maniera autonoma da istituzioni sovranazionali come l’Unione Europea, hanno preso misure restrittive eccezionali nei confronti delle libertà individuali e collettive di tutti i loro concittadini. Siamo interessati, in special modo, agli aspetti che coinvolgono le stime e i dati che ci investono quotidianamente con cadenza regolare e che sono ripresi da tutti i media mondiali. Questi ultimi rappresentano un’evidenza empirica su cui si potrebbe costruire una riflessione coerente su ciò che sta accadendo nel mondo.
Vogliamo mettere in evidenza, perciò, tre punti di partenza: 1) Non siamo interessati alle cause, alle origini del virus con tutto quello che è connesso ad esso; 2) Il nostro focus e sull’azione della politica e sui processi democratici di decision making che portano all’implementazione di politiche di e per l’emergenza sanitaria nazionale e globale; 3) Vogliamo insistere sull’importanza dell’interpretazione e della lettura corretta del mare di numeri e di dati per lo più grezzi, che in questi giorni inondano le nostre esistenze.
In questo momento, dopo un primo shock iniziale dovuto all’outbreak del Coronavirus in Italia e in Europa, ci troviamo in una seconda fase dove bisogna iniziare ad analizzare e valutare le misure e le azioni messe in campo dai differenti governi nazionali per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
Diventa vitale in questa fase analizzare le “policy”, le politiche agite dai vari governi prendendo in considerazione differenti variabili: La variabile temporale: quando i vari governi dei differenti Paesi hanno iniziato a prendere misure concrete per far fronte all’emergenza sanitaria; La variabile della comunicazione scientifica: in che modo la comunità scientifica ha informato l’opinione pubblica, le istituzioni sovranazionali e i governi sui rischi e sull’emergenza; La variabile della comunicazione istituzionale: in che modo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e i differenti governi nazionali hanno comunicato l’emergenza; La variabile della comunicazione mediatica: in che modo i mass-media hanno informato l’opinione pubblica dell’emergenza.
Partendo dall’analisi di queste variabili si potrà ricostruire il percorso che ogni governo nazionale ha effettuato durante gli ultimi quattro mesi (Dicembre 2019–Marzo 2019) cioè da quando le istituzioni sovranazionali tra cui l’OMS, i governi nazionali e l’opinione pubblica mondiale sono stati informati che a Wuhan in Cina si stava diffondendo questo virus. Dopo questo lavoro di “ricostruzione” potremmo chiederci perché la politica ha agito in questo modo e con queste modalità.
Adesso parliamo di numeri: a tal proposito sembra esserci in atto una controversia all’interno di due comunità di riferimento nelle democrazie occidentali: quella scientifica e quella politica. Quali sono le tue riflessioni?
In questo momento ci troviamo di fronte ad un mare disordinato e caotico di informazioni. Per informazioni nelle scienze sociali e statistiche si intende tutti i materiali empirici grezzi non ancora sistematizzati e organizzati per la seguente analisi dei dati e per la loro interpretazione. A tal proposito, si potrebbe iniziare ad affermare, ad esempio, che sono fallaci tutte quelle relazioni riscontrate tra variabili su diversi livelli di analisi che riguardano il numero di tamponi effettuati nei vari Paesi e anche nelle varie regioni italiane o macro-aree geografiche. A parte il numero di tamponi effettuati si dovrebbe tener conto di altre variabili intervenienti come le modalità con cui si effettuano i tamponi e a quali soggetti si effettuano i tamponi. Com’è facile intuire in questi ultimi mesi, dalla crisi in Cina fino allo scoppio del focolaio a Codogno e ai necrologi orribili degli ultimi giorni, si sono aggregati molti di questi dati in maniera spesso metodologicamente fallace e sono state prodotte in alcune occasioni delle false evidenze che non possono e non devono assolutamente essere prese seriamente in considerazione per non inquinare il dibattito sulle cifre e sui numeri che appare, in questa circostanza, già piuttosto torbido e misterioso. Cerchiamo, dunque, di fare una riflessione metodologicamente fondata sui numeri che abbiamo. Partiamo quindi dal metodo, cioè da come sono stati raccolti, aggregati e analizzati questi dati.
Partiamo da alcune considerazioni di fondo:
I. In primis, si sente e si legge da più parti che i dati messi a disposizione dalla Cina non sono veritieri e che, probabilmente, il numero di contagiati e di morti è molto più alto. Se, aprioristicamente, dovessimo considerare veritiero questo assunto dovremmo dubitare anche delle cifre date dai governi italiano e delle altre nazioni. Quindi, dobbiamo attenerci ai numeri ufficiali e metterne in evidenza le incongruenze se ce ne fosse bisogno.
II. In secondo luogo, bisogna prendere in considerazione:
1. Non il numero dei contagiati o dei morti ma il numero dei tamponi (cioè la diagnosi virologica) effettuati e categorizzarli per la tipologia di soggetti (sintomatici, asintomatici);
2. Tenere in considerazione quali policy sono state attuate dai differenti governi per fare i test (tampone solo a coloro che si sono recati in ospedale, solo al personale medico-sanitario, misura universalistica: a tutti i cittadini di una provincia, di una regione o di uno Stato);
3. Infine, bisogna prendere in considerazione la variabile temporale: quando hanno iniziato a fare i tamponi? Qual è stata la frequenza con cui sono stati fatti: giornaliera, settimanale, periodica, mensile? Ci sono state variazioni importanti nel tempo del numero di tamponi effettuato?
Già prendendo in considerazione queste tre variabili possiamo intuire che sono stati aggregati dati non aggregabili tra di loro, da qui la fallacia dei tassi percentuali di incidenza e le stime e proiezioni su contagiati e morti che sono diffuse quotidianamente dai mass-media. In questa sede, quindi, ci limiteremo a fare una riflessione sul numero dei tamponi effettuati.
In Italia, dopo lo scoppio del focolaio a Codogno, sono stati effettuati un numero considerevole di tamponi soprattutto in Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna mentre nelle altre regioni si è restati fermi ad aspettare. In Francia, a fronte del numero cospicuo di tamponi fatti in Italia, il numero di tamponi sembra estremamente esiguo. In Gran Bretagna, fino al caso Codogno, c’era una media abbastanza sostenuta di tamponi fatti al giorno. Poi, improvvisamente, il governo britannico ha deciso di non effettuare più tamponi se non in strutture ospedaliere e a soggetti sintomatici. Fino ad una settimana dopo i fatti di Codogno, i governi spagnolo e tedesco non avevano rivelato il numero di tamponi effettuato, né alcun dato concernente lo sviluppo dell’epidemia nei loro Paesi.
Vediamo nel grafico seguente l’evoluzione del numero di tamponi effettuati e, nel grafico successivo, la correlazione tra numeri di tamponi fatti e numero di casi positivi registrati per nazione dal 20 febbraio al 20 marzo 2020 (dati aggregati per ora disponibili e in attesa di aggiornamento).
In Francia dopo le giravolte delle settimane scorse di Macron, finalmente i numeri pubblicati dal Ministero della Salute francese stanno diventando più realistici. In basso potete leggere il report aggiornato al 24 marzo 2020 dove il numero dei tamponi è aumentato vertiginosamente: il 15 marzo i tamponi fatti erano 36.747 mentre al 24 marzo risultano 101.046 tamponi effettuati. Un incremento del 63,6 per cento nell’arco di una sola settimana. L’aumento dei tamponi effettuati è corrisposto, naturalmente ad un aumento del 31,8 per cento dei casi positivi. Inoltre, oggi, dopo una pioggia di critiche, il Ministero della Salute francese si è deciso a pubblicare la stima del numero di casi affetti da Covid-19 che hanno consultato un medico generalista includendo, finalmente, anche il numero di pazienti che non sono stati ricoverati in ospedale, ma sono rimasti a casa e sono stati monitorizzati a distanza dal medico curante. Il numero si allinea ai dati provenienti da Italia e Spagna: 41.836 (dal 16 al 22 marzo), con una forbice che potrebbe essere estesa fino a 55.231. Se si tenesse conto di queste stime, la Francia sarebbe il terzo Paese in Europa con il maggior numero di positivi al Covid-19 dietro alla Spagna che ad oggi ha 47.610 contagiati. Comunque sia, il numero ufficiale di contagiati in Francia resta 25.233 falsando di fatto le statistiche ed ingannando, in un certo qual modo, l’orientamento dei flussi che sta seguendo il virus. Si ricordi che la Francia è andata al voto il 15 marzo scorso per eleggere i sindaci delle proprie città e che il giorno dopo sono state adottate le prime misure restrittive nei confronti della popolazione seguendo il modello “graduale” italiano.
Questi dati sconcertanti aprono una riflessione sulla controversia all’interno di due comunità di riferimento nelle democrazie occidentali: quella scientifica e quella politica. Questa controversia sta già aprendo un dibattito che crediamo sarà centrale per poter affrontare e risolvere questa crisi globale: la democrazia di fronte alle sfide della sicurezza. Come le democrazie occidentali affronteranno quest’emergenza e quelle future preservando i processi democratici impregnati di burocrazia e rispetto delle libertà individuali? Come sarà possibile sorvegliare e prevenire senza venir meno alla privacy dei cittadini che costituisce un caposaldo di quelle che chiamiamo liberal democrazie evitando, allo stesso tempo, il controllo orwelliano delle masse?