Al microfono:
Pietro Dommarco, giornalista, direttore del periodico Terre di frontiera, Premio Restart Antimafia 2018, Premio Giornalistico Reporter per la Terra 2016, Premio internazionale all’impegno sociale 2015.
Con Giovannipaolo Ferrari, sociologo, esperto di analisi delle politiche pubbliche con particolare attenzione ai temi del lavoro, delle politiche sociali e ambientali.
Ospiti della puntata:
Francesca Vianello, professoressa di Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale (Università degli Studi di Padova), Paolo Diana, professore di Metodologia e tecnica della ricerca sociale (Università degli Studi di Salerno) e Federica Brioschi, Ricercatrice dell’Associazione Antigone.
L’Editoriale di Giovannipaolo Ferrari:
Le rivolte di inizio marzo nelle carceri italiane sono state l’ennesimo fallimento del sistema penitenziario nazionale. Un sistema ormai logoro che ha bisogno di una totale ristrutturazione, non solo dal punto di vista delle strutture fisiche, ma anche e soprattutto dal punto di vista amministrativo e dell’approccio metodologico della gestione delle carceri.
Ancor più fallimentare è la sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questi temi da parte della stampa e dei mass-media. I fatti intercorsi tra il 7 e il 9 marzo scorsi sono stati riportati da tutti gli organi di stampa e Tg televisivi, ma non si è data la giusta importanza al caso. Sono morti 12 detenuti, 6 soltanto a Modena e quasi tutti per overdose. Un disastro totale e una grande tragedia umanitaria. La tragedia umanitaria delle carceri italiane sovraffollate e per lo più non adeguate ai nuovi standard.
Qualche anno fa per un progetto finanziato dal FSE sulle carceri visitai due nuove prigioni in Catalogna costruite nell’arco di due anni. Una di queste doveva essere ancora inaugurata. Mi fecero visitare l’intera struttura, che a parte le mura, aveva tutta l’aria di un campus universitario con due piscine olimpioniche una indoor e una scoperta. L’UE aveva finanziato con 220 milioni di euro il progetto. Vedevo dipinto sui volti degli ufficiali della polizia penitenziaria e del direttore del carcere, la soddisfazione e la fierezza di chi ha realizzato e si accinge a gestire un fiore all’occhiello per il sistema carcerario spagnolo. Come le altre istituzioni totalitarie, il sistema carcerario è parte integrante del nostro ordinamento. Col tempo si potrà sempre di più utilizzare strutture di supporto e surrogati del carcere come tende a fare giustamente il nostro modello, scaricando su altre strutture molti detenuti, ma il giorno in cui le carceri saranno sostituite da un altro sistema detentivo è molto lontano. Perciò ben venga anche la costruzione di carceri moderne e la chiusura di strutture vecchie e antiquate. Ben vengano anche le ristrutturazioni e gli ammodernamenti.
Ma la cosa principale è considerare i detenuti ancora parte della società: se il carcere deve svolgere anche e soprattutto una funzione rieducativa, tutti noi dobbiamo imparare che una volta scontata la pena chi ha pagato il suo debito con la giustizia deve poter essere reintegrato nella società ed avere la possibilità di trovare un lavoro. Ciò, purtroppo, in Italia non succede nella maggior parte dei casi e con quest’emergenza sanitaria non sappiamo che cosa succederà ai 2000 e più detenuti che sono usciti e a quelli che usciranno tra non molto. Il pericolo è che la pandemia il problema delle carceri nell’ennesima bomba sociale.
Da quando il Covid-19 ha sconvolto le nostre esistenze, si susseguono accadimenti a dir poco inconsueti per le nostre società neoliberiste appiattite su una monocoltura delle menti.
Non posso far a meno di ammettere, come sociologo, che il momento storico che stiamo vivendo sia di straordinario mutamento sociale. Utilizzo l’aggettivo “straordinario” nel senso etimologico del termine: dal latino extraordinarius, composto dal prefisso extra che vuol dire “fuori” e la parola ordo -dĭnis, che significa “ordine” cioè fuori dall’ordinario.